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Roberto Speranza a HyperBros: “La politica è per me un servizio, ma soprattutto una passione bellissima. Chi la ha dentro non credo possa smettere mai di sentirla e di viverla.”

Verso la metà di settembre abbiamo spedito a Roberto Speranza una lista di domande su una serie di temi politici nazionali e lucani. Domande nello stile di HyperBros, un po’ provocatorie ed anche, ammettiamolo, un po’ lunghe. La complessa (come sempre) fase politica nazionale e gli impegni di Speranza hanno fatto sì che occorresse un po’ di tempo per le risposte. A noi il documento finale sembra, tuttavia, molto interessante e attuale, con risposte chiare e (quasi) per nulla reticenti dell’esponente della minoranza Dem, sia sulla politica nazionale che sul capitolo dedicato alla politica lucana.

Onorevole Speranza, chi non ama l’idea del Partito della Nazione, un’idea avulsa dalle migliori esperienze del riformismo democratico occidentale, potrebbe ritenerla corresponsabile del misfatto, visto che lei, insieme a gran parte della minoranza Pd, ha accompagnato l’ascesa al governo di Renzi. O, comunque, non l’ha adeguatamente ostacolata. Fa autocritica?

Renzi diventa leader del Pd e poi capo del governo in seguito alla non vittoria del centrosinistra nel 2013. Quel risultato e i conseguenti sviluppi politici portano ad una domanda radicale di rinnovamento, direi addirittura di rottura, con le esperienze passate del nostro campo. Renzi meglio di ogni altro riesce ad interpretare questa domanda. Tutto quello che viene dopo, il congresso del 2014 e l’arrivo a Palazzo Chigi, sono conseguenze naturali non più evitabili.

Per capire le ragioni della sua ascesa bisogna prima di tutto interrogarsi sulle ragioni del risultato del 2013 e sulla difficoltà del Pd ad interpretare un Paese turbato da una crisi economica e sociale drammatica. L’autocritica vera che la sinistra italiana deve farsi riguarda le ragioni del risultato del 2013, il prezzo del sostegno prolungato al governo Monti, le cui scelte hanno alimentato, in una parte consistente del Paese, un senso profondo di sfiducia nei confronti della politica classica che il Pd più di ogni altro rappresentava.

La battaglia sulla elettività del Senato risulta di non semplice decifrazione da parte di militanti e pubblica opinione. Un altro serio problema è dato dalla nuova legge elettorale, che introduce un forzato premio di lista nel sistema italiano, caratterizzato dalla presenza di almeno tre grandi aree politiche. Ipotizzando un accordo sul Senato elettivo, quale sarà poi la vostra posizione sulla legge elettorale?

Intanto è una battaglia vinta. I futuri senatori, grazie alla nostra iniziativa, saranno scelti attraverso il voto diretto dei cittadini e questo è un bene per la nostra democrazia. Le battaglie giuste si fanno a prescindere dal consenso che generano. Alcuni mi segnalano, come fa lei, che “la gente non capisce una battaglia sul Senato”.

Io sono un parlamentare della Repubblica. Ci stiamo occupando di riformare la Costituzione del nostro Paese. Non stiamo mica litigando sul colore della camicia di Renzi. La Costituzione è il lascito migliore che la prima generazione repubblicana ci ha consegnato. Ora la stiamo cambiando profondamente e su questa materia è sacrosanto far vivere le proprie convinzioni più profonde. Io sulla legge elettorale ho fatto una battaglia politica vera. La ritengo una legge sbagliata nel merito perché produce una camera composta prevalentemente da nominati e dominata da un solo partito.

Inoltre, ho giudicato una violenza intollerabile al parlamento aver messo la fiducia da parte del governo. Fiducia che ho scelto di non votare. Per me cambiare l’Italicum resta una priorità.

Non credo esista al mondo un economista di media serietà, liberista o keynesiano, che condivida l’impostazione di Renzi sulla riforma fiscale, con la priorità attribuita alla riduzione delle imposte sugli immobili. In pratica, siamo alla mimesi del populismo economico di Berlusconi. Quali iniziative intende prendere sul tema della riforma fiscale la sinistra Pd?

Abbassare le tasse è una sfida condivisibile ma si può fare con la nostra cultura politica di centrosinistra, senza inseguire ricette sbagliate. Tre questioni mi sembrano essenziali:

  1. Partire dal lavoro e dagli investimenti che producono lavoro. La casa per me viene dopo. Per esempio, verranno confermati gli sgravi alle assunzioni che hanno prodotto importanti risultati nel 2015?
  2. Riscoprire il senso della parola progressività. Chi ha di più paga di più. Chi ha di meno paga di meno. Se abbassi in modo indifferenziato la tassazione sulla casa a tutti fai un grande sconto a chi sta meglio e un piccolo sconto a chi sta peggio. Non va bene. Lo diceva Don Milani: “far parti eguali tra diseguali è la più grande ingiustizia”.
  3. Per reperire risorse, al fine di abbassare le tasse, guai a toccare ancora il nostro sistema di welfare (penso alla sanità) che è stato già indebolito negli ultimi anni. Il Pd deve avere il coraggio di ripartire dalla lotta all’evasione fiscale. Siamo con la Grecia il primo Paese europeo per evasione.

Una delle sfide principali per una moderna sinistra riformista consiste nel tenere insieme in un progetto di governo merito, equità ed efficienza. Da questo angolo visuale, nel rilanciare in agenda il tema del Sud, scelta importante e condivisibile, il perseguimento di obiettivi di merito ed efficienza non sembra godere di grandissima attenzione. In sostanza, il rischio è quello di porre troppa enfasi sulla disponibilità di risorse rispetto al cambiamento strutturale di cui necessita il Mezzogiorno. Per andare un po’ più sul concreto, per esempio, quando lei reclama maggiore attenzione del Governo per le Università del Sud, effettivamente svantaggiate per le condizioni del mercato del lavoro locale, cosa intende? Più finanziamenti erogati al Sud, indipendentemente dalla qualità della formazione e della ricerca garantita da questi Atenei?

Intanto chiedo una sterzata nelle politiche per il Mezzogiorno. La questione delle risorse non è tutto ma pesa. Ancora non sono stati spesi 12 miliardi della programmazione 2007/2013, il 26 per cento dell’intero programma. Sulla programmazione 2014/2020 siamo ancora fermi nella spesa a quasi due anni dall’avvio del programma. È accettabile con i dati drammatici che riguardano la disoccupazione al Sud? Credo di no.

Poi analizziamo gli interventi di politica economica espansiva fatti dal governo in questi mesi: 6 miliardi per togliere la quota lavoro dell’Irap. Un’ottima misura, una boccata d’ossigeno per le nostre imprese, ma è chiaro che queste risorse sono andate verso le aree più forti del paese dove il tessuto produttivo è più sviluppato. Ancora 9 miliardi e mezzo per la riduzione Irpef 80 euro. Anche queste risorse sono andate prevalentemente verso le aree dove è più forte l’occupazione. Non certo al Sud. Se un pezzo di Paese è più debole e tu sposti risorse verso le aree più forti è chiaro che il gap finirà per accentuarsi e non per ridursi. Anche per questo chiedo da tempo una misura universale di contrasto alla povertà che invece avrebbe l’immediata conseguenza di spostare risorse verso il Mezzogiorno.

Detto questo non vi è dubbio che la qualità della spesa sia un grande tema che ci riguarda. È questo vale per tutti i livelli istituzionali. E vale anche per i nostri Atenei del Mezzogiorno che pure stanno subendo una continua riduzione di trasferimenti per via di regole sbagliate.

Se il criterio con il quale ti assegno le risorse è legato al numero di laureati occupati dopo alcuni mesi dalla laurea è chiaro che l’università di Cosenza o di Bari o di Napoli non potrà mai competere con quella di Milano o di Torino.

Venendo alla Basilicata. Lei ha criticato la Presidenza Pittella, confrontando l’attuale conduzione solitaria del governo regionale con la precedente gestione De Filippo, più sintonizzato con il Pd che, all’epoca, era da lei diretto. In effetti, Pittella annunciò due anni orsono una roboante rivoluzione democratica ma poi, alla prova del governo, mi pare si sia visto ancora poco. Tuttavia, sinceramente, faccio fatica a individuare grandi meriti nella Presidenza De Filippo, troppo continuista rispetto ai vizi atavici del clientelismo e dell’eccessivo uso di spesa pubblica per finalità di consenso politico. Chiaramente, ciò implica una critica anche alla sua direzione politica del Pd di Basilicata. Lei invece ci conferma che dovremmo rimpiangere la coppia De Filippo – Speranza?

In politica non hanno senso i rimpianti e ogni stagione ha i suoi punti di forza e di debolezza. Non credo di aver mai fatto paragoni tra un’epoca e l’altra. Tra i cittadini lucani percepisco però un’inquietudine crescente. Addirittura una rabbia contro la politica. Questo mi preoccupa molto, mi interroga sul da farsi. Non vedo ancora costruirsi dentro il Pd una risposta all’altezza. Sarebbe troppo facile e banale dire che è colpa di Pittella o di chi c’era prima di lui. Potremmo aprire una caccia alle streghe sulle responsabilità di ciascuno. A me questo sport non è mai piaciuto. E anche se vedo troppe cose che non vanno, ho deciso da tempo che non starò mai su questo terreno. So bene quanto sia difficile governare.

Durante la mia segreteria, a causa anche di primarie il cui esito fu sorprendente (ero arrivato secondo tra gli iscritti e primo solo alle primarie, unico caso in Italia in cui gli elettori cambiarono il risultato degli iscritti) e molto equilibrato (ero primo ma con il 38 per cento e con due personalità autorevoli come Restaino e Adduce a pochi punti di distanza), sperimentammo la cosiddetta cogestione che era un tentativo di unire il Pd superando tensioni e lacerazioni che avevamo vissuto nei mesi precedenti.

Vito De Filippo non mi aveva sostenuto alle primarie, ma a me, come credo anche a lui, fu chiaro sin dall’inizio che bisognava provare a lavorare assieme, anche nelle differenze, per l’interesse della nostra comunità regionale. Certo, non tutto ha funzionato e sono stati commessi alcuni errori, anche importanti, come in occasione della moratoria sul petrolio che ha finito per portarci sul terreno sbagliato della divaricazione tra Regione e Stato.

Di sicuro non sono pentito di aver lavorato in quegli anni ad unire il Pd. Ho provato inoltre a costruire un profilo pensante ed inclusivo del partito. Il seminario di Rifreddo o la conferenza programmatica hanno rappresentato importanti momenti di apertura alla società e di confronto sul progetto Basilicata. Era il tentativo di pensare ad una regione aperta e capace di costruire un nuovo consenso con la società che fosse basato su una visione moderna della Basilicata e che fosse gradualmente capace di liberarsi dai vecchi vincoli relazionali, antica e mai superata consuetudine della nostra comunità. Era un’operazione ambiziosa che si scontrava con vecchie e consolidate logiche che troppo spesso hanno continuato ad avere il sopravvento. Ma quel tentativo, quella semina, hanno lasciato tracce che credo serviranno alla Basilicata. Voglio poi ricordare, per onestà dei fatti, che in quegli anni il Pd vinceva tutte le elezioni più importanti. Tra l’altro riportando dal centrodestra al centrosinistra realtà come Matera, Melfi ed altre comunità di primissimo piano.

Il Pd di Basilicata è un mezzo disastro. È, in prevalenza, un aggregato di modesti notabili. Sarebbe un’impresa per chiunque dirigerlo ma, anche alla luce del collasso alle amministrative di Matera, ritiene sia stata una buona scelta il cavallo di ritorno Luongo alla segreteria? Inoltre, condivide la tesi del sindaco uscente Adduce sul ruolo della manona di Pittella nella sconfitta del Pd a Matera?

Il Pd lucano ha risorse e capacità per rialzarsi ed io continuo a scommettere che ce la farà. Il limite di oggi è che il partito ha le lancette dell’orologio ancora bloccate al giorno dopo le primarie Pittella-Lacorazza. Credo che questo sia il vero problema politico con il quale fare i conti.

Io ho proposto e sostenuto Antonio Luongo a segretario per la sua autorevolezza e la capacità di costruzione politica che ha sempre dimostrato. In quelle qualità continuo a credere. È indubbio che se il Pd non riuscirà però a sbloccare le lancette dell’orologio perderà la funzione di cardine nella società lucana. I primi, ma forti segnali, a me sembrano inequivocabili. È una responsabilità di tutti. Ma non vi è dubbio che tocca al segretario del Pd e al presidente della Regione offrire un nuovo patto politico programmatico che parta dalle esigenze fondamentali della comunità regionale.

L’amarissima sconfitta di Matera va letta dentro questo scenario e penso che Adduce abbia pagato a caro prezzo le contraddizioni del quadro politico regionale.

Gianni Pittella è l’ideatore dello schema di pacificazione lucana del Pd, con Marcello Pittella in Parlamento nel 2018 e Vincenzo Folino alla Presidenza della Regione. Le chiedo cosa lei pensi di questa ipotesi e, soprattutto, di quale polpa politico-programmatica un eventuale accordo di pacificazione tra Renziani e Sinistra Dem abbia bisogno in Basilicata.

Non so se Gianni abbia mai fatto una proposta del genere. Io sarei felicissimo (non so se lo sia lui!!) di vedere Vincenzo, prima o poi, alla guida della Regione Basilicata. La sua autosospensione dal Pd è una ferita ancora aperta cui sinceramente il gruppo dirigente del partito non ha ancora saputo dar risposta. Quando ho rinunciato alla carica di capogruppo ho voluto dire prima di tutto che le idee vengono prima delle poltrone. Questa lezione viene proprio da quella generazione di importanti personalità della sinistra lucana che molto ha dato alla nostra comunità, a partire da Filippo Bubbico. Io spero e lavoro perché un’intesa a Roma come a Potenza possa affermarsi, ma questo dipende dalla visione di Basilicata che si vuol proporre.

Un progetto serio e credibile ad oggi non mi pare chiaro. E proprio perché questo progetto non si afferma limpidamente, la politica lucana rischia di diventare un confronto/scontro tra comitati elettorali e gruppi di potere lontani anni luce dalla missione che la politica dovrebbe invece svolgere. La domanda centrale per il gruppo dirigente regionale del Pd deve essere: “dove portiamo la Basilicata?” E invece in queste ore mi pare essere “chi va a fare l’assessore?”. Così non si va da nessuna parte.

Ognuno di noi ha le proprie responsabilità. Io non nascondo le mie, ma credo che la responsabilità più grande della costruzione di una vera e propria svolta tocchi a vertici regionali politici e istituzionali. Il tempo sta scadendo.

E in tema di polpa programmatica è d’uopo, discutendo di Basilicata, un riferimento al tema del petrolio. Il petrolio è una preziosa risorsa per la regione o ne costituisce la sua dannazione? Tra gli estremi del bianco e del nero, esiste secondo lei una ragionevole possibilità di governo della risorsa, in grado di conciliare sviluppo e tutela dell’ambiente? Finora, mi pare, i successi siano stati scarsi.

Dobbiamo tutti assieme scommettere sulla possibilità di un governo intelligente della risorsa petrolio. Non vedo altre strade. Le scorciatoie mi sembra portino tutte a vicoli ciechi. Non vi è dubbio che c’è bisogno di un nuovo patto tra Stato e Regione che sappia far convivere interessi centrali e territoriali. A questo obiettivo dovrebbe lavorare tutto il gruppo dirigente regionale proprio come è stato fatto nelle ore difficili di approvazione dello sblocca Italia alla Camera, quando un serio lavoro di squadra tra il Presidente Pittella e tutti i parlamentari lucani ha portato ad alcun importanti risultati per il nostro territorio.

Oggi i quesiti referendari, su cui è stato prezioso il lavoro di Piero Lacorazza, possono creare nuove condizioni per riaprire un tavolo tra Stato e Regione? Mi auguro proprio di si.

Infine, Onorevole Speranza, lei cosa vuol fare da grande? Il candidato della minoranza Pd alla segreteria nel 2017 oppure il leader di una nuova formazione di sinistra? E si è, per caso, dato un orizzonte temporale entro il quale concludere la sua esperienza politica o, come dicevano gli antichi dorotei, sarà il popolo attraverso il voto a decidere quando arriverà il momento del suo ritiro?

Il Pd è il partito del nuovo secolo. Mi batterò per affermare la sua vocazione originaria di grande forza del centrosinistra contro l’idea di un soggetto indistinto e pigliatutto in cui scompare il confine tra destra e sinistra. Fuori dal Pd l’alternativa è Grillo, Salvini, Berlusconi. Un terzetto inquietante che credo nulla di buono porterebbe al nostro Paese. Per me, quindi, nessuna scissione. Ma un lavoro vero per costruire dentro il Pd un punto di vista alternativo a Renzi. È il momento di seminare idee, non di mettere avanti persone.

La politica è per me un servizio, ma soprattutto una passione bellissima. Chi la ha dentro non credo possa smettere mai di sentirla e di viverla. Gli incarichi istituzionali sono invece giustamente a tempo. E io credo molto nel limite dei mandati.

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