In un articolo di Antonio Ribba di qualche tempo fa, il nostro professore identificava in Gianpiero Perri l’emblema di quel che va, e che non va, in Basilicata. Il tema è quello della vicinanza o meno di manager, esponenti della società civile, alla politica (e viceversa). Al “post” in questione è arrivata una replica del diretto interessato, che è possibile leggere in forma di commento con la contro-risposta di Ribba. Ma il successivo e qualificato intervento, che il dott. Perri ha inviato al blog, richiede a mio parere un diverso rilievo. Lo pubblichiamo quindi confidando nel consenso di direttore Giampiero.
di GIANPIERO PERRI – La legge a cui lei si riferisce che vieta il passaggio da incarichi politici a manageriali riguarda una casistica che nulla ha a che fare con la mia esperienza e storia personale ed è questo che contesto al suo primo intervento. Un tema che non vedo sollevare è quello della capacità. La mia preoccupazione come cittadino e credo non solo mia è che chi ricopre incarichi pubblici come manager dimostri di avere capacità.
Il giudizio sulla cattiva politica si concreta quando la scelta su chi esercita un ruolo pubblico è fatto sull’unico criterio dell’appartenenza e non sul merito e sulle capacità. Il dramma dell’apparato pubblico, che si riflette anche nella superficialità di molti giudizi, è che nessuno si preoccupa dei risultati. Valutare i risultati è fondamentale nel sistema pubblico come nel sistema privato. La riforma Bassanini andava in quella direzione.
In anni recenti invece son stati varati innumerevoli provvedimenti che stanno nuovamente appesantendo e burocratizzando la pubblica amministrazione con una produzione smisurata di procedure e di adempimenti formali che nulla hanno a che fare con le logiche di efficienza e di efficacia dell’azione amministrativa.
La necessità di tagli alla spesa pubblica e la lotta agli sprechi hanno finito con il vanificare ogni sforzo di ammodernamento dell’apparato pubblico oltre a delegittimare, oltre ogni misura, il lavoro nel pubblico finendo cosi con il buttare “il bambino insieme con l’acqua sporca”.
Io che ho operato per gran parte della mia vita professionale nel sistema privato e che ho fatto l’esperienza di manager pubblico (a tempo determinato) le posso assicurare che quanto le scrivo è frutto non di una riflessione teorica ma della mia esperienza sul campo. La componente dell’economia pubblica in Basilicata è schiacciante, sul tema negli anni ho dedicato molte riflessioni ed interventi pubblici, e posto il problema delle condizioni che consentono la crescita di un’economia privata.
Al contempo non si può prescindere dal dare efficienza alla componente pubblica formando la dirigenza (anche con una scuola di alta formazione) e acquisendo dalla società civile energie e professionalità in grado di apportare nuove motivazioni e nuovo slancio nel contesto pubblico proprio per evitare appiattimenti e rendite di posizione.
Infine desidero precisare che il dibattito che ho inteso alimentare non riguarda una scelta autonomistica ma un pensiero regionalista che parte dalla constatazione della eccentricità lucana: una piccola regione in termini demografici al centro di interessi geo-economici e geo-strategici assai rilevanti derivanti dalla questione energetica, una comunità che necessiterebbe per far fronte a questi complessi ed onerosi processi industriali di una sorta di “sindacato” di comunità per meglio tutelare i propri interessi di sviluppo, di salvaguardia ambientale e di tutela della salute.
Se di queste esigenze lucane i partiti nazionali dimostrassero di farsi pienamente carico cadrebbe ogni esigenza “sindacale” (cosa che in cuor mio mi auguro). In questa prospettiva per rendere più facilmente comprensibile la mia riflessione ho evocato il modello Sudtiroler. La Basilicata da al Paese (attraverso le estrazioni petrolifere) più di quanto riceva dai trasferimenti dello Stato e questa condizione è destinata a rafforzarsi.
Un fattore questo che modifica sostanzialmente la percezione della Basilicata come una delle “palle al piede del paese” insieme alle altre regioni meridionali. Così non è. Un dato di fatto che dovrebbe portare a modificare il nostro peso negoziale nei confronti dello Stato nazionale e affrontare il nodo delle infrastrutture necessarie allo sviluppo che necessitano di rilevanti risorse pubbliche. La mancata soluzione di questo nodo rende marginali altre questioni. Questo è il mio convincimento. Si tratta di priorità.
Nuove regole da sole non bastano, occorre una visione e condizioni strutturali perchè i beni ed i servizi prodotti in regione possano essere più competitivi e stare sul mercato. Ed occorre una società civile che agita questioni, sollevi domande, alimenti un dibattito, non necessariamente con proiezioni elettorali ma spronando chi si occupa di politica o vuole occuparsene a dare risposte. Tutto qui, ed è questa libertà e questo diritto che vorrei esercitare avendo a cuore il destino della mia comunità e non solo quello personale.