Platone e la famiglia (lucana)
Qualche settimana fa ho letto su Repubblica un interessante articolo di Nadia Urbinati, dal titolo: “L’insegnamento di Platone. Il politico sia senza famiglia”. Platone, riporta la Urbinati, fu un utopista radicale e dunque decise che la Repubblica ideale doveva impedire che i membri della classe politica avessero famiglia e proprietà.
Radicale Platone, senza dubbio, ma in effetti molto logico: la cura dei propri averi e dei propri cari verrà sempre prima e, quindi, il politico (il guardiano della Repubblica) con famiglia ed averi sarà afflitto da parzialità.
Si deve ammettere che il rimedio di Platone è un tantino radicale. Peraltro si osserva, giustamente, che i responsabili del governo della Chiesa sono abbastanza vicini all’ideale Platonico ma non è che anche lì manchino, accanto alle privazioni, documentate degenerazioni.
Ovvio però che quando si parla di “famiglia e politica” (lasciando perdere la questione degli averi), la mente si volga alla povera Lucania, dove 3-4 famiglie detengono un potere politico grandissimo: Presidenti di Regione; Consiglieri regionali; Parlamentari nazionali ed Europei etc.
Ora, a questo richiamo al familismo in politica, tipicamente, l’allocco e l’interessato ti rispondono più o meno così: “Tu trascuri il fatto che viviamo in una democrazia e non in una dittatura. Dunque, se Pittella, Robortella e Braia sono lì è perché (più di) qualcuno li ha votati. Inoltre, io li valuterò in base alle capacità che mostreranno nei loro incarichi, in quanto se invece li valutassi per la carta d’identità e per le parentele farei una discriminazione al contrario.”
Argomentazioni da applauso. Tuttavia, la democrazia non è un sistema perfetto. Per esagerare, Mussolini e Hitler sono arrivati al potere per via democratica, elettorale. E quando hanno soppresso gli istituti democratici, non lo hanno neppure fatto per difetto di consensi tra i cittadini, che le “libere elezioni”, i due dittatori le avrebbero stravinte.
Non trascuro nemmeno un altro argomento, forse anche più sottile, che alcuni anni fa, in un contesto di lavoro, mi mosse in una conversazione un mio amico e collega: “Ci sono ramificazioni affettive, chiamiamole di fatto, che possono essere perfino più subdole dei legami parentali certificati”.
Esemplificando sulla Lucania, il legame creatosi negli anni tra un Folino e un Lacorazza è vicino ad un rapporto padre-figlio, di fatto, per cui quando Vincenzo spinge per la candidatura di Piero il confine tra affinità politica, comune visione del destino della Basilicata e mero interesse di clan, può diventare sfumato. E potremmo fare altri esempi, come quello dei fratelli acquisiti Adduce-Cifarelli, giusto per citare pure qualche materano.
Ma tornando al tema “Da Mimì (Pittella) a Mimì (sempre Pittella) per via democratica”, ed alle obiezioni degli allocchi-interessati, sempre Nadia Urbinati nel suo bell’articolo cita uno studio sul nepotismo nella società americana, condotto da Seth Stephens-Davidowitz, nel quale l’autore calcola che un Jeb Bush, possibile candidato alle presidenziali del 2016 (e possibile concorrente di Hilary Clinton!), ha ben 1,4 milioni di possibilità in più di fare carriera politica di un ordinario cittadino. Al proposito, si legga qui.
Bene, ma allora, qual è la conclusione di questa prima parte del post?
Non c’è alcuna conclusione, se non il sottolineare che è un preciso dovere degli intellettuali, dei giornalisti, dei cittadini lucani, monitorare con attenzione queste forme subdole di nepotismo “democratico”, in cui pseudo-rivoluzionari ci spiegano come cambiare il mondo, nonché come renderlo più meritocratico, magari attingendo al serbatoio di consensi e di potere famigliare per arrivare prima in cima.
La DeFilippizzazione di Marcello
Mi capita talvolta di citare il famoso studio condotto da un gruppo di ricercatori della London School of Economics sulle istituzioni lucane, e pubblicato pochi anni fa, in quanto lo studio si è rivelato tanto prestigioso quanto sfortunato. Sfortunato, perché in diversi passaggi della ricerca si magnifica il ruolo svolto, nei decenni, dalle istituzioni lucane per favorire lo sviluppo economico e sociale della regione, misurandone la qualità anche attraverso la stabilità politica di governi e giunte regionali.
In sostanza, si argomentava nello studio, cambiando un assessore l’anno viene poi a mancare quella continuità nell’azione di governo che è indispensabile per programmare oltre l’orizzonte di brevissimo periodo.
Infatti, da quando la ricerca è stata pubblicata, la media di durata delle giunte regionali è stata esattamente pari a un anno! Ora, dopo l’esperienza dei De Filippo quater e quinquies, siamo in fremente attesa del Pittella bis e scommetto sul Pittella ter entro il 2016.
Cioè, Pittella si è, appunto, DeFilippizzato. Nato Gladiatore, varata subito una Giunta di salute pubblica con quattro tecnici per lo più segnalatigli da Gianni, un minuto dopo il varo ha iniziato a dire che la Giunta era “a tempo”, cioè ha subito demotivato la squadra di governo, chiarendo che per il bis, stavolta di tipo politico, era solo questione di mesi.
In effetti, da alcuni mesi è appunto in corso una trattativa serrata tra Pittella e il suo Partito sulla composizione di giunta, con equo bilanciamento tra le correnti e ricerca spasmodica di compensazioni per gli inevitabili scontenti, anche via nomine in società ed enti regionali sotto il ferreo controllo del Partito-Regione. Al limite, sforzando la fantasia con la creazione di nuove creature burocratiche in un’epoca in cui la direzione di marcia, anche da parte del governo centrale, è esattamente opposta: taglio, semplificazione e possibilmente gestione efficiente di enti e società pubbliche!
Stiamo dunque assistendo alla litania delle trattative e degli scontri alla De Filippo-Folino. Queste trattative procedevano nei secoli dei secoli e quando la decisione finalmente maturava era ormai troppo tardi, nel senso che nuovi equilibri o spinte esogene rendevano comunque obsoleta la soluzione individuata. E così, via con una nuova giostra. È solo per mere questioni caratteriali che i rapporti tra Luongo e Pittella siano meno conflittuali di quelli tra Folino e De Filippo, ma la sostanza politica non cambia. Per questo, ritengo, si possa parlare di una abbastanza ingloriosa DeFilippizzazione di Marcello: da Gladiatore a Mediatore degli equilibri correntizi interni al sempre più frantumato Partito democratico lucano.
Peraltro, un elemento che ai governatori in carica piace oscurare è il seguente: se io governatore rimuovo un assessore e lo sostituisco perché ha una scarsa produttività, allora sto provando, giustamente, a rafforzare il mio governo; se invece io rimuovo una intera giunta in carica (o la gran parte), allora ciò vuol dire che il mio governo è stato fallimentare. E prima o poi, proprio come accaduto a De Filippo, il conto lo si dovrà pagare in prima persona.
Ma anche qui, si potrebbe argomentare, qual è la conclusione?
Mi pare che la conclusione relativa alla seconda parte di questo post sia più semplice. La rivoluzione politica e culturale promessa da Pittella in campagna elettorale si sta rivelando un grande bluff. Tanto rumore per nulla. Ma, allora, se a questo spingeva il nostro fato, potevamo anche tenerci Vito De Filippo per il terzo mandato! In fondo, De Filippo è un governante serio e colto. E poi, aspetto non secondario, almeno non ti seppellisce sotto una coltre di retorica propagandistica. Al limite, se proprio ti va male, potrai sorbirti una citazione del suo amato Spinoza.
La soluzione a questo annoso problema per la democrazia è stata trovata dal M5S con il vincolo di mandato evitando che la politica diventi una professione a vita.
See you
Evitare che la politica diventi una professione, ponendo limiti severi al numero di mandati parlamentari, è certamente un’ottima idea. Tuttavia, anche il limite ai mandati, in sé, non elimina i problemi legati alla possibile eredità familiare degli incarichi politici.
De Filippo ? … meglio che resti dov’è:-) http://rlangone4.blogspot.it/2010/07/de-filippo-il-presidente-filosofo-della.html
La soluzione, come sempre, è nelle mani del popolo. Se sono riconoscibili “le famiglie” (e lo sono) il popolo dovrebbe non votarli. D’altra parte se proprio non riesce (perché obbligati dalla loro condizione)a non votarli allora non siamo in democrazia quindi, con Platone, il politico sia senza famiglia!