Alla luce dello scandalo “Rifiuti e Trivelle Sporche”, torna attuale il famoso aforisma di Alfredo Reichlin: Le multinazionali governano, i tecnici gestiscono e i politici vanno in televisione.
La frase originaria contiene “mercati” in luogo di “multinazionali”, ma è chiaro che si tratta solo di una modesta variante. Del resto, la frase di Reichlin è chiaramente ispirata, con un adattamento alla modernità, al vecchio Karl, che nel Manifesto del Partito Comunista affermava, perentorio: “Il governo, nello Stato moderno, svolge soltanto il ruolo di comitato d’affari della borghesia.”
Marx e il marxismo, ovvio, sono morti ma la lunga vista filosofica dei giganti del pensiero può esserci ancora di qualche aiuto in questo dedalo di interessi economici, disastri ambientali e miseria politica.
Inutile qui riprendere i dettagli dell’importante inchiesta giudiziaria in corso, che ormai da giorni tutte le testate nazionali e locali forniscono informazioni, ricostruzioni ed analisi. Invece, in questo post voglio brevemente trattare un argomento minore, quello dei politici, in particolare lucani, che vanno in televisione. Cioè, detto in modo più fine, dei nostri politici che si occupano di cose futili e che, in fin dei conti, alla fine, dimostrano di non contare davvero un ca..o!
Due figure particolarmente emblematiche di questa tragica inutilità della politica regionale appaiono il Presidente in carica, Pittella, e il suo predecessore, De Filippo, attualmente entrambi parte della maggioranza Renziana! (Peraltro, Pittella fu anche a lungo assessore di De Filippo) Dalle carte dell’inchiesta emerge che i due si fanno una guerra senza quartiere per il controllo del consenso: De Filippo, utilizzando i suoi ganci clientelari nella Val d’Agri, Pittella tentando di rimuoverli per piazzare le sue “bandierine”, cioè per creare propri ganci di potere personale.
Ora, come è noto, Pittella nel suo primo anno di governo regionale ha utilizzato il termine “Rivoluzione” più spesso di Marx e di Lenin messi insieme, mentre negli ultimi tempi, in vena un po’ più mistica, preferisce usare l’espressione “Miracolo”. In sostanza, data la gravità di quanto portato alla luce (o, forse, solo confermato) dall’inchiesta di Potenza, Marcello si afferma come il classico politico da televisione (nel senso di Reichlin): fiumi di comunicazione e retorica, ma il suo governo è, nella sostanza, impotente di fronte agli interessi economici del petrolio che da anni dominano la Basilicata.
E Vito De Filippo? Dalle intercettazioni si ha la conferma del suo taglio vetero-democristiano: senza clientele e senza dissimulazione non si va lontano. Il che, aggiunge più che altro una nota di folklore alla tragedia lucana. De Filippo, da governatore, a un certo punto parte a lancia in resta contro le multinazionali, varando inverosimili moratorie mentre, da Sottosegretario alla Salute(!), intrattiene reiterate conversazioni telefoniche con le medesime multinazionali per perorare, tra le altre cose, una meritoria causa di assunzione. Ad ulteriore riprova del peso che le multinazionali attribuiscono a questi politici, l’amato figlio in questione non sarà poi nemmeno assunto!
È comunque da tempo che si ha una sensazione di sostanziale irrilevanza del ceto politico lucano.
In parte, ciò dipende da fattori strutturali: come dimostra l’emendamento Guidi – Boschi – Tempa Rossa, le cose davvero importanti si decidono a Roma (chi poi davvero decida cosa è un’altra, scabrosa, materia di indagine). Inoltre, se vogliamo ancora per un momento restare a Marx, è bene non fare un eccessivo moralismo e comprendere che gruppi come ENI o TOTAL hanno una forza e un potere reale maggiore perfino dei singoli governi nazionali.
Tuttavia, mi pare innegabile che in Basilicata aleggi, da più di qualche anno, anche una certa miseria della politica, politica intesa come insieme di visione, analisi e proposta. In questo senso, e per restare al Partito democratico, voglio dare atto a Piero Lacorazza perlomeno di provare a fare qualche tentativo in direzione della “politica”, come dimostra il suo notevole impegno nel referendum anti-trivelle.
Infatti, cos’è in fondo il referendum, se non un tentativo di gettare un po’ di sabbia negli ingranaggi oliati degli interessi delle multinazionali e, inoltre, di recuperare uno spazio politico per le comunità locali? Poi, naturalmente, anche Lacorazza, dirigente di primo piano da oltre un decennio, dovrà spiegare dov’era, cosa controllava e chi nominava mentre si realizzava questo scempio ambientale.