Divertente e interessante lo scambio di questi giorni tra lo Zio (Viti) ed il Nipote (Folino) sulle prospettive del centrosinistra in Basilicata e sulla lettura delle vicende politiche, vicine e più lontane.
Folino stronca la legislatura regionale guidata da Pittella e, di conseguenza, prova a sbarrare la strada ad una sua riconferma, lanciando invece la candidatura alla Presidenza di Bubbico, che viene visto come autorevole e sperimentato dirigente politico e amministratore, ormai (addirittura) super partes. Viti nei suoi interventi tra l’ironico e lo sconcertato, pur riconoscendo le qualità di Bubbico, attacca la pretesa di Folino di presentarsi, insieme con Mdp, come il nuovo che avanza in regione. In fondo, è la tesi di Viti, il centrosinistra fondato da una parte degli ex Dc e dagli ex Pci governa la Basilicata da oltre 20 anni, con Folino e diversi altri dirigenti, ora in Mdp, sempre in ruoli di rilievo politico.
In questo post non mi occuperò di massimi sistemi, ma seguirò un semplice filo conduttore per orientarmi nel dibattito Viti-Folino e per fare qualche rapida riflessione su passato e futuro del centrosinistra lucano.
Su Viti vorrei chiarire un punto: l’ho sfotticchiato e attaccato spesso negli ultimi anni ma non c’è dubbio che sia stato uno dei politici più importanti, nel bene e nel male, di questa regione negli ultimi 50 anni. Chiarire il perché io sia critico con Viti e con una certa eredità democristiana aiuta a capire cosa non mi convinca delle posizioni di Folino. Negli anni 70 e 80, per noi giovani iscritti e simpatizzanti del PCI di Matera e della Basilicata, Viti fu uno dei principali emblemi della sempiterna piaga del clientelismo lucano e della cattiva gestione assistenziale delle risorse pubbliche. Il verde pascolo doroteo alimentò una distribuzione discrezionale per fini di consenso elettorale e, allargando lo sguardo alla politica nazionale, questa gestione paternalistica e clientelare della spesa pubblica è senz’altro da ritenersi una delle cause principali dell’accumulazione del debito pubblico italiano. Un problema molto serio, quello del debito, che taglia prospettive ed aspettative delle generazioni più giovani. Un problema che accompagnerà questo paese ancora per decenni, che l’Europa sia maligna o benigna.
Si dirà, ma se il problema del debito pubblico italiano è esploso nella sua drammaticità negli anni 90 del secolo scorso, cosa c’entrano i governi a guida democristiana dei decenni precedenti? I semi della crisi erano stati in realtà introdotti proprio in quei decenni (70 e 80), è solo la maturazione che arriva un po’ più tardi, complice il mutato quadro macroeconomico mondiale, ed in particolare il forte aumento dei tassi d’interesse rispetto agli anni 70.
Solo un esempio: in relazione all’andamento delle aspettative di vita si profila un nuovo aumento dell’età pensionabile a 67 anni, e un taglio delle future pensioni del 5% annuo. Una discreta botta, considerando che il 5% su una pensione di mille euro al mese equivale a 50 euro mensili ed a 650 euro annuali. Bene, nel 1973 il Governo Rumor introdusse le cosiddette pensioni baby nel settore pubblico: con 20 anni di contributi i dipendenti statali avrebbero maturato il diritto alla pensione.
Dunque, ritirandosi all’età di 40 anni si sarebbe potuto percepire una pensione pubblica per altri 40 e passa anni, date le aspettative di vita. Roba da rinchiudere in un manicomio tutto il Consiglio dei Ministri e il Parlamento che approvò quelle norme! Ministro delle Finanze di quel governo era Emilio Colombo. Per onestà, va detto che di quel governo facevano parte le migliori intelligenze del centrosinistra dell’epoca e che quella legge, che oggi appare frutto di demagogia, clientelismo e totale incapacità di governo, fu votata anche dalle opposizioni parlamentari.
Quanto è costata negli anni questa legge? Non meno di 100 miliardi di euro cumulati, ma potrebbero in realtà essere molti di più. Ovvero una percentuale compresa tra il 5 e il 10% di debito pubblico accumulato nel tempo può essere spiegata da queste norme pensionistiche. Nel frattempo, le leggi sono cambiate, le pensioni baby non esistono più ma i diritti cosiddetti acquisiti sono intoccabili mentre i diritti dei futuri pensionandi, cioè i giovani e i lavoratori di oggi, sono continuamente compressi.
Ora, rispetto a questo metodo di governo che ha caratterizzato Colombo e la sua scuola, qual è stata la rottura prodotta dal nuovo centrosinistra lucano, dal 1994 in avanti? La mia risposta è: nessuna (o quasi). Su Bubbico, della cui competenza amministrativa e abilità politica nessuno può dubitare, basti ricordare solo la fulminante battuta di Buccico, in un recente comizio, sulle domande per le assunzioni nella sanità materana che negli anni scorsi, a suo dire, andavano redatte rigorosamente in dialetto Montese per avere ragionevoli speranze di assunzione. E Speranza, da segretario regionale del Pd, si è distinto sul piano dell’analisi per una critica al cosiddetto sistema delle “relazioni corte” (cioè del sistema clientelare lucano) ma poi alla luce della concreta gestione, in condominio con il presidente De Filippo, le relazioni corte si sono in verità allungate assai poco.
È peraltro nota la presa di posizione pubblica di un candidato Pd non eletto alle regionali del 2010, politicamente vicino a Speranza che, nominato alla presidenza di un ente pubblico, dichiarò (più o meno): “Finalmente, una nuova generazione di dirigenti politici del Partito democratico viene meritatamente promossa alla gestione degli enti pubblici regionali”. Mi venne (e mi viene) da dire: Stiamo freschi!
Parlando dei discutibili sistemi di nomina negli enti regionali in realtà ci collochiamo su un terreno un po’ diverso, che attiene alla cosiddetta commistione tra direzione politica e gestione economica-amministrativa. Diciamola così: l’utilizzo delle nomine negli enti pubblici, per rafforzare posizioni personali e correnti, fu un antico connotato dei governi della Prima Repubblica e, certamente in Basilicata, lo fu anche della Seconda.
La sto facendo lunga e dunque concludo, che di altre questioni importanti per la regione ci sarà ancora modo di parlare. Io condivido la tesi di Folino che Pittella non possa essere riconfermato alla guida della regione, ammesso che il Pd intenda lavorare ad una coalizione di centrosinistra per le regionali del 2018. Questa tesi è condivisa pure dallo stesso Pittella e quindi non ci sono particolari dissidi. Tuttavia, lo stato maggiore di Mdp in Basilicata è costituito in prevalenza da ex generali di lungo corso del Pd lucano e dunque sostenere che si lavora ad una nuova era politica per la Lucania è problematico. A maggior ragione, candidare l’ex governatore del quinquennio 2000-2005 trasmette l’idea che si intenda recuperare un perduta età dell’oro. Difficile far passare nei cittadini lucani questa tesi, in parte per le argomentazioni di questo post, in parte perché dal 2006 al 2018 al governo della regione non c’è stato il centrodestra né il Movimento 5 Stelle ma il medesimo (trasformismo più, trasformismo meno) centrosinistra.
Antonio Ribba