Le macroregioni e l’uomo bianco

Mi sembra che il governatore lucano, Pittella, sulla questione delle macroregioni, si sia lasciato andare un po’ troppo entusiasticamente a frettolose “adesioni”, anche se le reazioni dal mondo lucano sono tardate ad arrivare. L’opinione pubblica pare essere abbastanza “tiepida” o, forse ha bisogno di più tempo per metabolizzare e comprendere la questione, dato che non ci sembra fosse all’ordine del giorno nell’agenda del governatore, almeno non ci pare d’averne letto nel suo programma elettorale. Intanto i colleghi di Basilicatapost.it lanciano un sondaggio, che consigliamo di tenere sotto osservazione, anche al “gladiatore”. Pubblichiamo e con molto piacere, una riflessione sul tema firmata dal giornalista Giovanni Rivelli.

Donato Mola

LampadaDI GIOVANNI RIVELLI – Vallo della Lucania, circa 9mila abitanti in provincia di Salerno, Cilento. Poche strade, pochi servizi, poco lavoro e si lavora nei campi a volte per 10 euro al giorno. Se parlate con le persone del posto, amabili, lavoratrici e un po’ rassegnate, vi spiegheranno che essere la periferia di una provincia vasta e comunque secondaria rispetto alla metropoli li lascia nell’isolamento e senza speranze.

Discorso identico, anzi peggiore, se vi spostate appena di qualche chilometro, a Ceraso, 2.500 abitanti, marginale rispetto alla stessa Vallo. Capire perché, da anni, vogliano passare in Basilicata, con altre decine di comuni, non è difficile.

Calitri, 5mila abitanti scarsi in provincia di Avellino. I forestali di queste contrade guardano i loro colleghi delle confinanti Pescopagano o Ruvo che lottano con sacrosanta ragione per aumentare di qualche giornata la loro occupazione come un bambino biafrano potrebbe guardare un bimbo europeo che strepita perché non vuole la pasta al formaggino ma la vuole al pomodoro: in quella zona dell’avellinese i soldi non ci sono e la forestazione è ferma e se chiedete agli interessati perché vi diranno che tutte le attenzioni sono per Napoli e i suoi enormi problemi e per la provincia non c’è nulla.

Sono solo due esempi, a noi molto vicini, di “ultimi” in una grande regione. Situazioni che portano qualcuno, a Brusciano, a non discutere su Copes sì o Copes no, ma a lavorare a nero per 6 ore al freddo come guarda macchine di un ristorante di gran lusso ricavando appena 15 euro a serata perandare avanti.

Non è una critica a una regione grande e complessa, e mi scuseranno i vicini campani se ho preso questi esempi, ma mi serviva parlare proprio delle difficoltà della complessità e di come tra queste le istanze minori e dei “minori” (intesi come quelli che hanno meno voce e rappresentano un problema anche numericamente inferiore) finiscano per essere tralasciate, e certo non potevo utilizzare la Basilicata.

La Basilicata, abbiamo sentito dire spesso, ha saputo imporsi come esempio di buon governo proprio per l’attenzione alle piccole cose. Ha saputo preservare la sua sanità dei piccoli numeri rendendola attrattiva anche per chi risiede in aree limitrofe più densamente popolate, ha saputo governare il suo ambiente e il suo territorio, dando attenzioni anche a istanze di centri di poche centinaia di residenti. Sarebbe stato lo stesso con la macroregione meridionale?

La domanda, nelle intenzioni di chi la pone è retorica,ma se proprio serve una risposta sarebbe bene farla dare ai cittadini di Vallo, Ceraso o Calitri. Loro, per paradosso, in un contesto unico meridionale potrebbero riscoprirsi “penultimi” rispetto a istanze, di San Paolo Abanese, San Chirico Raparo o San Giorgio Lucano, ma questi sarebbero gli ultimi degli ultimi.

Quella Basilicata che per qualcuno non ha senso che esista pagherebbe un conto salato già senza porre questioni identitarie. Certo, in un’ottica di programmazione vasta, non è detto che qualche territorio pure potrebbe guadagnarci: una grande infrastruttura di collegamento Campania-Puglia pure dovrà toccare la Basilicata, ma per questo, più che una Macroregione, non basta un livello di programmazione interregionale, qualcosa che in passato è stato pure fatto?

E qualche lucano potrebbe ritrovarsi a non essere più il rappresentante di una piccola comunità di anime, ma espressione di una grande realtà meridionale pronto a condividere, generosamente, quel che si ha in casa: ma ne vale la pena?

E ancora: il pensiero si evolve, e se chi guida Campania, Puglia o Calabria è arrivato a questa determinazione, in modo interessato o meno, badando o meno alle risorse di chisi vuole “sposare”, valutando o meno i tentativi del passato di realizzare opere al proprio servizio ma in casa e a danno altrui (vedi raddoppio della canna che da Senise porta l’acqua in Puglia) saltati proprio per l’opposizione di una Regione “altra”, se nel 2014 passate le mode di federalismo e neo centralismo, in queste regioni tra chi ha responsabilità di governo “si porta” il macroregionalismo, è un fatto possibile.

Ma la Basilicata ha terminato una campagna elettorale regionale poco più di quattro mesi fa; come mai un tema di una tale rilevanza non è entrato nel dibattito se lo si riteneva la strada giusta, la proposta vincente?

Come mai nei comizi e negli incontri si è invece dibattuto il tema di segno opposto della centralità dei territori, delle rivendicazioni delle periferie rispetto alle città (Potenza e Matera sono grandi più o meno come Cerignola o Acerra, diventata suo malgrado l’immondezzaio di Napoli) della necessità che anche le istanze di Cersosimo e dei suoi 700 abitanti distanti 150 km dal capoluogo, trovassero ascolto?

La idea risolutiva è maturata dopo?

O la spiegazione di tutto sta in una barzelletta?

Una famiglia di senegalesi, genitori e due figli, trova la lampada magica. Il genio che ne era prigioniero, per ringraziarli della ritrovata libertà, promette a ciascuno di esaudire un desiderio. Il padre chiede buona salute perl’intera famiglia, la madre serenità per tutti e quattro, il primo figlio agiatezza economica per sè, il fratello e i genitori, ma quando arriva il turno dell’ultimo questo dice semplicemente: “Voglio diventare bianco”. Così avviene e quando i familiari gli si fanno intorno per chiedere il perché di quella scelta egoistica e spersonalizzante arriva un’altra frase secca: “Oh, sono due minuti che sono diventato bianco, e ‘sti neri già li tengo sulle scatole”. E questo pensiero mi fa sentire decisamente “nero”.

GIOVANNI RIVELLI

9 Comments

  1. AntonioR. says:

    Sulla questione “macroregioni”, fino a due-tre anni fa mi sarei opposto senza esitazione. Oggi sono più dubbioso e penso che sia materia da studiare e da approfondire.
    Giovanni Rivelli non può trascurare il fatto che un colpo alla credibilità dell’istituto regionale lo hanno dato, con una gestione tutt’altro che esaltante, le regioni stesse, con la Basilicata non certo in seconda fila in questo processo di decadenza.
    Al di là delle posizioni personali, però, questo intervento è molto interessante e pone buone questioni all’attenzione. Non trascurabile la riflessione finale sull’opportunismo di Marcello e Gianni Pittella che, verosimilmente, avevano ben chiaro, e condividevano, questo processo di soppressione delle piccole regioni, fin dai mesi scorsi ma che si sono ben guardati dal metterlo al centro del dibattito elettorale. Gravissimo per una pretesa “Rivoluzione Democratica”.
    Ieri, su questo specifico punto, ci avevamo scherzato anche noi su Twitter. E bene ha fatto Rivelli a trattare il problema “democrazia” in modo più argomentato.

  2. R tantone says:

    In fondo dopo creazione di Macrocomuni, le Macroregioni possono essere il passo successivo. Certamente sarebbe stato opportuno parlarne prima di regionalibas,come sarebbe stato opportuno parlare di programmi credibili in campagna elettorale, o almeno dopo che si e’ stati eletti.

  3. Non so cosa pensare. O meglio. In linea di principio, Sì alle macroregioni se la riorganizzazione amministrativa riduce i costi tagliando la burocrazia. D’accordo con Raffaele quando afferma che sarebbe stato più opportuno parlarne prima.

    Ho letto dichiarazioni di Pittella che fanno riferimento al “provincialismo” di quanti sarebbero contrari al progetto. Se ha davvero dichiarato questo allora mi sento di rispondere all’ormai ex gladiatore che:

    1) E’ stato designato da una sparuta minoranza di coloro che hanno diritto al voto
    2) Coloro che lo hanno votato (e non solo del PD) lo hanno fatto perché rappresentava nel loro immaginario l’uomo dal piglio deciso che avrebbe puntato i piedi “a Roma” per la lucania, e la lucanità. Lui (o chi per lui) ha impostato la comunicazione elettorale seguendo questi schemi
    3) Non l’ho votato e sono felice, alla luce di queste dichiarazioni, della decisione presa. Nonostante negli ultimi mesi mi fossi fatto abbagliare da alcune, buone, dichiarazioni ed opere.
    4) Rimpiango Vito.

  4. AntonioR. says:

    Nooo, “Rimpiango Vito” noooo!

  5. Angelo says:

    Macroregioni?
    Se fossimo in Svezia sì.
    In Italia prenderebbero i difetti delle regioni esistenti moltiplicati per tre (corruzione, clientelismo, inefficienze e sprechi) annichilendo quel po’ di rappresentatività che hanno le comunità minoritarie. Se oggi contiamo poco domani non conteremmo affatto. Perchè? E perchè no? In cosa sarebbero diverse? O meglio: quale fatto potrebbe far sperare che le cose andrebbero diversamente in un territorio che comprendesse l’Ex Regno delle due Sicilie? Che per caso una mela lanciata in alto cesserebbe di cadere verso il basso perchè in una macro regione invece che in una microregione? Meglio lucani e poveri che poverissimi e macroregionali. Le dimensioni non contano 😛

  6. Giovanni Caserta says:

    Macroregione forse no; ma soppressione della Regione Basilicata, sì.Troppo piccola, troppo povera culturalmente, troppo povera tecnicamente, di fatto troppo povera moralmente è la Regione Basilicata, stante un evidente e – direi – inevitabile familismo amorale. Comandano e festeggiano i figli dei padri, le sorelle dei fratelli, le mogli dei mariti, i … mariti delle mogli. La conseguenza è che l’immoralità dilaga, inversamente proporzionale al numero degli abitanti.. Lo dicono le cronache di tutti i giorni; lo dice un intero Consiglio Regionale che si scioglie per corruzione! Altro che “la Regione che ha saputo imporsi come esempio di buon governo”! Che succederà quando, con la eliminazione della provincia di Matera, la Regione sarà Provincia e la Provincia sarà Regione? Non vi sembra una mostruosità istituzionale e istituzionalizzata? A vantaggio di chi ?

  7. LucianoD says:

    Non condivido la visione idilliaca dell’articolo di Mario Rivelli. Parto da una considerazione: fino al 1970 l’Italia ha vissuto il suo periodo d’oro, boom economico, investimenti nazionali ed esteri, eccellenza culturale cinematografia e letteraria, principale meta turistica d’Europa, crescita sociale ecc. e tutto senza debito pubblico. Poi arrivano le Regioni che dovevano servire da volano alla crescita avvicinando la periferia al centro. Non voglio certo attribuire solo a queste istituzioni tutti i guai dell’Italia, ma quali risultati in realtà hanno ottenuto? Il più eclatante è la crescita a dismisura di una casta di bramini politici che è sembrata dedicarsi essenzialmente all’arricchimento personale nei modi più disparati, dai superstipendi, agli indegni vitalizi, fino alle scandalose ruberie che sono emerse in questi ultimi anni. Queste poi hanno generato una serie di enti quasi tutti costosi ed inutili, anch’essi con superstipendi magari da attribuire a politici trombati come contentini. Ed intorno a questi politici è cresciuta una burocrazia regionale quasi tutta con tessera di partito, magari anche professionalmente brava, ma che rimane quella con gli stipendi più alti d’Europa come da un’indagine di questi giorni del Sole24ore. A tutti questi le Regioni hanno portato sicuramente benefici enormi, come li hanno portati a città tipo Potenza e Campobasso che si sono erette a città-regione e ne hanno fatto una vera e propria industria di posti di lavoro su cui prosperare con denaro pubblico. È un fatto che il resto della Basilicata si va desertificando, che nei paesi ci sono solo vecchi e molti centri moriranno con loro. È un fatto che nella sanità le siringhe da qualche parte vengono pagate 10 volte di più che in un’altra, che alcuni fornitori vengono pagati subito in un posto, dopo 3 anni in un altro, che là ci sono posti letti inutili, dall’altra parte mancano e così via. Non sarebbe meglio accentrare tutto questo sistema? E la formazione gestita dalle Regioni non ha arricchito essenzialmente i formatori regionali? E la gestione turistica frammentata non ha visto addirittura ridursi i visitatori del Bel Paese? Non risulta enormemente negativo il rapporto costi\benefici? Se poi ci confrontiamo con la Germania che è di solito il modello amministrativo, scopriamo che lì con una popolazione superiore del 50%, hanno solo una decina di regioni che funzionano decisamente meglio a costi minori. Va da sé che minori regioni, significhino minori costi, ma ad una condizione. Non deve accadere che le più grandi assorbano semplicemente le più piccole sic et simpliciter. Diciamo la verità, il terrore di molti lucani è quello di essere gestiti da una Napoli disastrata e disastrosa, assediata da camorristi e monnezza. E’ che, a mio modesto parere, dovrebbero perdere molte delle funzioni attuali, essere organi snelli con stipendi non più così appetibili. E credo che il Governo Renzi voglia marciare in questa direzione quando sostiene di voler cambiare il Titolo V della Costituzione e che gli emolumenti non dovrebbero superare quelli del sindaco. Più potere ai Comuni ed allo Stato, meno agli intermedi

  8. Giovanni Caserta says:

    Ora anche le microspie! E’ ridicolo ma anche sempre più comprensibile e triste in una regione così piccola, senza alternativa, vero condominio diviso e conteso tra poche lobbies,che si trasformano inseguendo sempre e solo il potere!

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