Queste impressioni sono del 1870. Trecento anni dopo il Rinascimento. Eppure, quanto attuali sembrano le sue considerazioni, oggi, 250 anni più tardi e mezzo millennio dopo il Rinascimento.
Forse non sempre quel che viene dopo è meglio di quel che c’era.
Ritornando in Italia, ho provato ancora un impressione più forte di quella che ebbi la prima volta per lo stridente contrasto tra la fecondità del suo grande periodo di fioritura artistica e la banalità del suo genio attuale. Bastano le prime ore trascorse sul suolo italico a farla nascere, e il problema cui alludo è, dal punto di vista storico, uno dei più strani e inspiegabili. Esso sta tutto nelle vicende di un popolo che appena tre secoli fa possedeva il gusto più raffinato, e oggi invece ne manifesta uno pessimo; nel fatto che dopo aver prodotto le opere più nobili, più amabili, più preziose, oggi possa abbassarsi a fabbricare oggetti orribili e di nessun valore; nel fatto che la stirpe dalla quale nacquero Michelangelo, Raffaello, Leonardo e Tiziano non possa oggi vantare altro titolo di merito se non una pittura di terz’ordine e una scultura dozzinale.
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Con nostra gioia vediamo un’Italia unita e prospera, ma affatto scientifica e commerciale.
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Quello che c’è di antico è diventato sempre più un museo, conservato mantenuto in mezzo al nuovo, ma senza alcuna relazione con esso, tranne una che è simile a quella che lega la merce sugli scaffali di un negozio al bottegaio, o la Sirena dei mari del sud al direttore di un serraglio che imbonisce gli spettatori dinnanzi al suo padiglione. (…) Agli ingressi di questi palazzi (musei) vi sono uomini dalle uniformi gallonate cui il visitatore deve pagare un biglietto d’ingresso. Dentro, l’arte italiana giace sepolta come in mille mausolei. In questi stupendi edifici, una serie infinita di oscuri dipinti si stanno ulteriormente oscurando, ammuffendo, sbiadendo, per scomparire del tutto con l’andare del tempo.
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In una novella di Thackeray si fa menzione di un giovane artista che aveva inviato alla Royal Academy un quadro raffigurante “un contadino che danza con una trasteverina sulla porta di una locanda al suono della musica di unpifferaro”. È con questo atteggiamento e con questi accessori convenzionali che il mondo ha fin qui considerato rappresentare la nuova Italia.
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I brani sono tratti dal volume di Einaudi del 1991: Racconti Italiani di H. James.