Il Modello Basilicata e la Seconda Repubblica

Ieri, sabato 27 aprile, Andrea Di Consoli ha pubblicato questa interessante riflessione sul Quotidiano di Basilicata. Secondo noi l’autore mette bene a fuoco un punto: il crollo del “Modello Basilicata” è frutto di inadeguatezza e di inefficienze strutturali endogene del sistema. La tempesta giudiziaria è, per così dire, la ciliegia sulla torta. Ringraziamo l’autore e Lucia Serino per il consenso a ri-pubblicare sul blog l’articolo

DI ANDREA DI CONSOLI

Per anni abbiamo denunciato il “modello Basilicata”. Quello stesso “modello” che Pierluigi Bersani, in un momento di euforica imprudenza, pensava di esportare in tutta Italia. Lo stesso Roberto Speranza, tuttora segretario regionale in carica del Pd, è diventato rapidamente capolista e troppo altrettanto rapidamente capogruppo alla Camera per il solo fatto di essere espressione e garante di questo “modello”. Eppure tutti i lucani sapevano come funzionava, questo benedetto modello. Tutti, anche coloro che votavano Pd. Nonostante questo si faceva finta di niente, anzi, ci si vantava spavaldamente di una classe dirigente seria, responsabile, efficiente. Ma che sia chiaro: questo “modello” non cade per un parquet, per una mignotta o per un pranzo pantagruelico alla faccia della miseria, ma per cose ben peggiori che non hanno e forse non avranno mai l’onore della cronaca giudiziaria.

E mi riferisco al clientelismo sistematico, allo sperpero mostruoso di risorse pubbliche, all’utilizzo della politica per interessi personali, alla mediocrità elevata a ideologia dominante. Tutto questo stava durando da troppi anni, ed è ovvio che quando un “modello” marcisce è destinato a cadere – come nella migliore tradizione – per un nonnulla, per il solito “mariuolo” di turno, per una buccia di banana. Roberto Speranza dice che Vito De Filippo è stato responsabile, qualche stratega sostiene, alla maniera di un attardato Don Chisciotte basentano, che con le dimissioni il Presidente si è messo a capo del rinnovamento della Basilicata. Basta! Smettetela di dire bugie e di stravolgere la realtà per interesse di parte e di sopravvivenza! Il “modello” è imploso anche disonorevolmente, ovvero con lo sputtanamento nazionale. E di questo bisogna prendere atto senza bizantinismi. E tutti, in effetti, ne stanno prendendo atto, tranne i romani, che gustano tranquillamente il gelato al pistacchio al Pantheon.

La sconfitta dunque sarebbe di Vito De Filippo? E perché Roberto Speranza non sente come sua questa sconfitta? Non è bastato perdere decine di migliaia di voti alle recenti elezioni? Non è bastato lasciare per mesi un governo regionale immobile e senza possibilità di definizione? Non è bastato vedere gli arresti e le dimissioni del Presidente che, vogliamo ricordarlo, non è solo il capo della giunta ma anche uno dei principali esponenti del Pd?
Mi auguro solo che il “modello Basilicata” non venga a breve definito “straordinario”. La cultura egemonica del Pci aveva proprio questo di orribile (ormai sopravvive solo in Corea del Nord e a Pietrapertosa), ovvero una divaricazione massima tra le parole e i fatti. Ma ha ragione De Filippo: non sono tutti colpevoli allo stesso modo.

A De Filippo ricordiamo solo che i suoi errori storici non sono mai stati riconducibili a un’eccessiva attitudine epistolare (presidente, ma a chi le scrive tutte queste lettere?). Ben altri sono i suoi errori, e lo sanno i tanti cittadini che leggono questo giornale.
Ma i romani hanno poco da festeggiare, perché se oggi vengono accolti col saluto militare nelle stanze vellutate e affrescate del Potere lo devono proprio a questo “modello” che in queste ore sta naufragando nel disonore e nel disprezzo popolare.

Il “sistema” si sta sgretolando, e non già per un’indagine dagli effetti dirompenti, ma perché questa classe dirigente non rappresentava più degnamente da molti anni le istanze, le culture, le aspettative, i problemi, le speranze dei lucani. Mettiamo, dunque, un punto fermo: il “modello Basilicata” non c’è più.
Poi, nei prossimi giorni, proveremo a dire qualcosa sulla classe dirigente coinvolta nelle indagini e qualcosa sul futuro politico di questa Regione. Per intanto, prendiamo atto che una fase politica – figlia della Prima Repubblica – è terminata. Ora, finalmente, anche in Basilicata può iniziare la Seconda Repubblica.


Blogger, musicante, lettore, disegnatore e giornalista digitale (in erba).

4 Comments

  1. Giovanni Caserta says:

    E ORA?
    Caro Mola,
    vedo che sul tragico tracollo etico-politco della Regione Basilicata, chissà perché, corrono molte letture, ma nessun commento. Eppure non basta leggere. La casa brucia, anzì è crollata. Considerato che nessuno dei quaranta e più consiglieri ed ex-consiglieri deve pensare di rimanere ancora sulla scena politica (ne va del loro decoro innanzitutto, oltre che della nostra salvezza), resta da vedere come, con che cosa e con chi vanno sostituiti. Mi permetto di offrire, a te e ai tuoi lettori, alcune riflessioni, che, insieme ad altre, sono già passate, sabato 27 u.s., attraverso le colonne del “Quotidiano”. Eccole, nella forma di flash:

    -mi auguro, nell’interesse di tutti, che si torni alla chiarezza e alla distinzione;
    -che il PD si spacchi e riemerga l’anima di sinistra;
    -che sia negata la candidatura a consiglieri che siano stati eletti già due volte;
    -che si elimini il listino;
    -che si torni ad una legge elettorale fondata sul proporzionale;
    -che siano vietate le abusate candidature di parenti e affini, per evitare che la politica lucana finisca, come negli ultimi anni, nelle mani di due o tre famiglie che decidono per tutti e riescono ad avere rappresentanti nei Comuni, nella Regione e in Parlamento;
    -che si affermi la centralità del Consiglio Regionale, dal cui interno vadano scelti Presidente e Assessori;
    -che si elimini la brutta e costosissima pratica degli Assessori esterni che, come si è potuto verificare, né brillano per competenza né, talvolta, per dirittura morale;
    -che la si smetta di correre dietro ad avvocati, commercialisti, imprenditori e chirurghi di grido, solo perché “tirano” voti, quando, invece, molto più utili sarebbero alla comunità lucana, se, già ricchi di per sé, si limitassero ad esercitare bene e solo la loro professione;
    -che nessuno più neghi che esiste un rapporto strettissimo fra la corruzione diffusa, la pochezza della attuale classe politica, la supina acquiescenza del cosiddetto ceto intellettuale e, dall’altra parte, il degrado miserevole di una piccolissima regione che, paradossalmente, perde lavoro e abitanti, pur mentre è ricca di acqua e di petrolio
    -che ci si domandi se, veramente, anche dopo questi scandali valga ancora la pena di avere una regione con 550.000 abitanti, ogni giorno politicamente e iniquamente selezionati e promossi, mentre altri vengono iniquamente e politicamente espulsi; e sono espulsi sempre i migliori, non foss’altro perché, per dignità e rispetto per sé stessi, preferiscono andare via, piuttosto che piegarsi a forme di squallido servilismo, fino al livello di portaborse e portavoce.
    Un saluto
    G. Caserta

  2. AntonioR. says:

    Mi sembra che alcune proposte avanzate nel commento di Giovanni Caserta, per esempio sul ruolo del Consiglio nell’elezione del Presidente della Giunta, richiederebbero modiche statutarie. Come è noto, io non concordo con il ritorno alla forma parlamentare, ma ormai tutta la discussione è rinviata alla prossima legislatura, visto che tra i fallimenti di questo Consiglio vi è anche la mancata approvazione del nuovo Statuto dopo ben tre anni di discussioni ed elaborazioni e circa 20 complessivi di attesa. Quasi incredibile.

    Utilizzo questo commento per dire che la direttrice del Quotidiano la mattina stessa dell’avvio della tempesta giudiziaria mi aveva chiesto un commento sula vicenda. Io avevo scritto e inviato un intervento in cui suggerivo di porre fine all’agonia di questo Consiglio regionale andando in tempi rapidi allo scioglimento, con elezioni nel giro di pochi mesi. Chiedevo però una ritirata ordinata, con l’approvazione nel giro di qualche settimana di provvedimenti importanti, tra i quali il nuovo Statuto e la nuova legge elettorale, e poi dimissioni effettive del Presidente e scioglimento del Consiglio. Poi la realtà ha superato l’analisi politica e nel pomeriggio di quello stesso giorno De Filippo, a sorpresa, si è dimesso. Per cui l’articolo non è stato più pubblicato, come ovvio. Devo dire che nella situazione di totale delegittimazione di questa assemblea sarebbe stato comunque probabilmente difficile procedere all’approvazione dello Statuto o di altro al di fuori dell’ordinaria manutenzione politica. Per questo stessa ragione mi sembrano molto fantasiose, e abbastanza campate per aria, ipotesi di proroga di questo Consiglio fino al 2014, per poter accorpare le regionali in Basilicata con le prossime elezioni europee.

    Infine, chiedo a Caserta se è possibile ottenere da lui una cartolina, un post, sul come eravamo, cioè su quali fossero le condizioni economiche in termini di indennità, rimborsi diaria ed altro attinente al trattamento onnicomprensivo caratterizzante l’attività di un Consigliere regionale negli anni 70 e 80. Anche per meglio capire cosa è cambiato, nell’insieme. Ovvero, se si tratti prevalentemente di una questione di tempi e virtù lontane oppure se è possibile ipotizzate che si tratti, con un certo grado di probabilità, di questione di maggiore attenzione della magistratura attuale rispetto ai decenni passati, nella gestione dei fondi pubblici da parte del ceto politico.

    • Giovanni Caserta says:

      Caro Ribba,

      solo ora leggo della tua richiesta e provvedo subito. Se ti dicessi che non ricordo e non so essere preciso, perché non ho mai saputo quale fosse la mia indennità, tu non mi crederesti. Ma noi comunisti non avevamo alcun interesse alla cosa. Appena entrato in Consiglio regionale, dal notaio Giuliani feci la delega al partito, che riscuoteva per me. A me dava solo quanto mi avrebbe dato la scuola, da cui, per decisione del partito, fui obbligato ad allontanarmi per aspettativa. Nella dichiarazione dei redditi io denunziavo l’indennità intera, che, però, per legge, ai fini fiscali, era valutata in misura ridotta (credo al 60%). C’era, tra l’indennità regionale, valutata non per intero, e lo stipendio della scuola, una differenza che la Regione mi pagava, per integrarmi lo stipendio. Anche questa integrazione, però, finiva nelle casse del partito. Siccome ti posso dire con certezza che il mio stipendio lordo annuo di professore era di L.2.990.898, corrispondente a circa 230.000 lire lorde mensili, al netto circa 180-190.000, deduco che l’indennità di consigliere doveva aggirarsi, al netto, intorno alle 350.000 lire mensili. Noi consiglieri, che vivevamo fuori Potenza, disponevamo di una quota in più di 50.000 lire. Se però avessimo viaggiato con la nostra macchina e mangiato nei ristoranti o dormito in albergo, le 50.000 non bastavano più. Io mi abbonai al treno, che prendevo allo scalo di Ferrandina, oppure prendevo il pullman (che alcuni chiamarono “il pullman di Caserta”, avendone io chiesto l’istituzione Via Basentana, da poco aperta, perché si creasse un rapido collegamento fra i due capoluoghi). Quando era possibile, viaggiavo chiedendo un passaggio a Cascino, che, essendo vice presidente, aveva diritto alla macchina e all’autista. Nei giorni di Consiglio, dovendo far uso necessario della macchina, ci mettevamo d’accordo (io, Barberino, Montagna e Venezia) per fare uso, a turno, di una sola macchina. Era esclusa Venezia, ragazza, che non guidava. Solo in un secondo momento fu previsto il rimborso della spesa di macchina, previa dichiarazione che, per quel giorno, se ne era fatto uso.
      Si mangiava un panino, oppure si andava a mangiare al ristorante della stazione. Per dormire, avevamo allestito delle brande nella sede del gruppo e, in caso di impossibilità di rientro, si dormiva su brande alla buona, come i raccoglitori di pomodori. Spesso, a pranzo e, una volta, anche di notte, fui ospite del collega Beppino Grezzi, ora deceduto. La mattina la moglie, dolcissima signora, anch’essa purtroppo deceduta, entrando nel salone, si trovò me, ospite imprevisto. In queste condizioni, soprattutto per chi veniva di fuori, la vita era piena di sacrifici, considerato che i treni e i pullman avevano orari fissi, mentre così non era per le riunioni di commissione e altro. In una seconda fase credo che fosse stabilito anche un gettone di presenza nelle commissioni.
      Io, personalmente, nel complesso, ci rimisi. Ma non fu per questo che, prima che finisse la legislatura, chiesi di non essere più ricandidato. Mi piaceva troppo fare l’insegnante, leggere e scrivere. Oggi, per quei sacrifici, godo di un assegno vitalizio, al netto, di E 1.832, una volta di circa E 2200, decurtatomi, come vedi, grazie ad una campagna punitiva sempre più aspra. Di questa, in parte, ti ritengo responsabile. Ho perso 400 euro al mese, più inflazione, nel giro di tre-quattro anni, in barba al principio dei diritti acquisiti. Ritengo la cosa assolutamente ingiusta, perché è cosa ingiusta per tutti i lavoratori. Alcuni consiglieri comunisti dell’epoca, funzionari di partito o sindacalisiti, oggi vivono solo di assegno vitalizio o quasi. Sottrarre 400 euro (più inflazione) ad una famiglia ormai anziana, che può avere i suoi impegni (di mutui, malattie, badanti, ecc.), è una iniquità. Oggi, sommando la mia pensione di insegnante con il vitalizio, non credo di raggiungere la pensione di un direttore di banca o di un funzionario della prefettura o dell’ASL o di un dirigente scolastico, che non credo abbiano più meriti di me e che, forse, più di me, si a sono avvalsi della politica per far carriera. Io, per essere comunista ci ho rimesso. Dimenticavo di dirti (l’ha scritto per fortuna la “Gazzetta del Mezzogiorno”) che l’assegno vitalizio è anche il frutto di un lascito mensile che io, per cinque anni, versai al fondo comune e che oggi versano per me i consiglieri in carica. Questi, ora, presi anche loro da foga moralistica, tanto di moda, hanno deciso di cancellare l’assegno vitalizio e, quindi, il versamento a favore degli ex. I prossimi consiglieri regionali, probabilmente, verseranno la stessa somma (considerevole) a qualche Assicurazione, e, quindi, a vantaggio dei privati. Non versando più al fondo comune regionale, il peso degli ex cadrà tutto sulla Regione, cioè sul pubblico. Chi ci ha guadagnato? I consiglieri decaduti (tali perché corrotti, almeno quelli che lo sono) sembravano tanti Catoni Censori e tanti Savonarola. Poi scopriamo che alteravano le somme sugli scontrini. E’ sempre vero che chi più grida più nasconde, o vuol nascondere. Quanto invece a noi, nonostante tu mi sia debitore di 400 euro al mese, più inflazione, mentre ti chiedo scusa per alcune ovvie dimenticanze e imprecisioni, ugualmente sento di doverti un affettuoso saluto. E sono sincero.
      Tuo
      G. Caserta

      P.S. Ultima informazione: quando, non inviati dalla Regione, ma per il fatto stesso di essere consiglieri regionali, eravamo in giro per la provincia, per manifestazioni o altro, a pagare le spese di macchina era il partito (che, però, baa bene,pagava solo la benzina).

  3. AntonioR. says:

    Questa raccontata da Giovanni Caserta è davvero una bella storia, da divulgare il più possibile. Come risarcimento al Professore per il taglio al suo vitalizio da Consigliere regionale in conseguenza della campagna di stampa a cui, nel mio piccolo, anche io ho dato un contributo, chiedo a Donato Mola di fare di questo commento un post a sè stante, lanciato in pompa magna su Facebook e su Twitter. In modo da avere il più ampio numero di lettori, anche tra i membri del ceto politico corrente.
    Non avevo dubbi che da questa ricostruzione avremmo compreso quanto siano cambiati i tempi e quale spessore etico ci fosse in quell’epoca nei partecipanti all’attività politica. .

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