Se si mettono in fila gli interventi degli ultimi giorni di Renzi, Bersani e, a livello lucano, di De Filippo e Folino, si riesce ad avere un quadro abbastanza chiaro (si fa per dire) delle potenzialità e dei problemi del centrosinistra, tanto locale che nazionale. Ovviamente, si possono inserire altri riferimenti del dibattito politico post scissione Renziana, ma ai fini del tema circoscritto che voglio trattare in questo post, quelli da me scelti sono sufficienti.
Parto subito dal mio amico Vincenzo Folino, di cui ho letto ieri la lunga intervista rilasciata a La Nuova del Sud e che mi ha lasciato relativamente insoddisfatto. Chiaramente, Folino è arrugginito dal lungo periodo di assenza successivo alle elezioni del 2018, assenza dal dibattito pubblico e dalla direzione politica effettiva, due campi non nettamente separabili per chi faccia politica ad alto livello e nei quali Folino è stato uno dei più bravi direttori d’orchestra in Basilicata per almeno 20 anni. Non ci sono idee forti nell’intervista, e questo va bene, Folino non può certo fare il Mago Merlino, ma l’insoddisfazione in me ha riguardato prevalentemente quell’odore di risentimento personale che si avverte nell’intervista. Vincenzo è incazzato, a quanto pare, con Speranza, a cui probabilmente imputa una superficiale gestione delle recenti vicende politiche lucane, ma è pure incazzato nero con De Filippo, che nel 2010 gli sbarrò la strada per la staffetta alla presidenza della regione. Sia chiaro, Folino non ne parla esplicitamente, non so nemmeno se ne abbia mai discusso pubblicamente, si tratta solo di una mia personale interpretazione.
Per aprire una parentesi: io ritengo, e l’ho pure detto in qualche occasione a Vito De Filippo, che la mancata alternanza del 2010 in Basilicata tra centro e sinistra fu un grave errore commesso dal Pd. Tra l’altro, la seconda legislatura di De Filippo fu lungi dall’essere esaltante e, probabilmente, contribuì ad avviare la frantumazione e la deriva del Pd di Basilicata, che poi ha trovato il suo culmine con la presidenza di Pittella.
Ciò detto, la politica non può nemmeno ricondursi, e al limite ridursi, a relazioni personali più o meno buone, delle quali all’elettore e al cittadino, in ultima istanza, non frega assolutamente nulla.
E qui vengo a De Filippo, e inevitabilmente a Margiotta. I due democristiani sono doroteissimi, cioè la gestione del potere è il centro immobile della loro politica, e sono anche da anni fratelli – coltelli. Diciamo che un po’ di sana competizione, in fin dei conti, fa bene pure alla politica locale. Però pongo un quesito: se Vito fosse stato fatto sottosegretario, avrebbe abbandonato il Pd? Senza tema di smentita dico di no. Aggiungo un altro quesito: se Margiotta non fosse stato fatto sottosegretario, Vito avrebbe abbandonato il Pd? Qui ho certezze meno granitiche ma la mia risposta resta il no. Naturalmente, per completezza, mi dovrei anche chiedere cosa avrebbe fatto Margiotta nel caso De Filippo fosse stato nominato sottosegretario. Propendo per la conclusione che in quel caso sarebbe stato Salvatore a seguire Renzi.
E ora la mia seconda conclusione (che è una parafrasi della prima): la politica non può essere ridotta a competizione e ad ambizione personale, cose delle quali all’elettore e al cittadino, in ultima istanza, non frega assolutamente nulla.
E ora siamo alla parte finale sulla politica nazionale, dove peraltro i risentimenti personali di certo non scarseggiano. Bersani, oggi su Repubblica, ad una domanda sul fuoco amico lamentato da Renzi, risponde con sarcasmo che Renzi: “È il campione mondiale del fuoco amico”. Per dire dei risentimenti e dei personalismi nel centrosinistra nazionale.
Io non ho certo guardato con dispiacere alla scissione dal Pd promossa da Mdp, poi LeU. Ritenevo che Renzi stesse introducendo una importante, per me negativa, mutazione nel partito, trasformandolo in un partito personale, centrista e liberale. Nulla di male, ma non era stata questa la missione alla base della nascita del Partito democratico, del quale il riformismo socialista – comunista era stato una componente fondante. Ora, però, il problema è questo: siamo in una fase di pericolosa regressione conservatrice, se non proprio reazionaria, in ampie fasce di elettorato italiano ed europeo. Lo dicono non i sondaggi, che pure contano, ma i recenti risultati alle europee e nelle votazioni locali. In Italia questa regressione politica trova asilo, ed è alimentata, dalla Lega di Salvini. Un’altra fase storica nella quale questi fenomeni regressivi si sono manifestati in Europa è stata rappresentata dagli venti e trenta del secolo scorso. In quella fase, all’avvento dei fascismi contribuì non poco la tendenza al suicidio politico delle forze popolari e socialiste. Segue da questa breve considerazione, che quel tanto di politicismo che emerge dall’intervista di Bersani è fuori luogo nonché inaccettabile. In sostanza, anche un bambino oggi comprende che una forza del 2%, quale è attualmente Mdp, non ha più ragion d’essere, a fortiori dopo l’uscita di Renzi dal Pd. Dunque, che Bersani, e suppongo pure Speranza, ritengano di non poter rientrare nel Pd se non inventandosi i soliti grandiosi processi costituenti, di idee e progetti, per fare cose nuove “perché questo Pd non basta” e liturgie similari, ancora una volta, può essere materia appassionante per il ceto politico, dubito molto possa esserlo invece per i cittadini, elettori e non del centrosinistra.
E chiudiamo il post con Renzi. È uno dei politici che più mi stanno sui co…. ma, dovrebbe essere chiaro dal pericoloso quadro politico italiano, non è questo il momento in cui lasciar trionfare i settarismi. Il nuovo partito – movimento di Renzi è, e dovrà essere, parte integrante del centrosinistra. Oggi abbiamo letto il primo sondaggio – analisi, da D’Alimonte sul Sole 24 ore, in cui emerge la possibilità che il partito di Renzi riesca a drenare voti moderati anche dal centrodestra. Se questa operazione avesse successo e se dunque non si trattasse solo di una piccola redistribuzione di consenso interna al centrosinistra, allora la scissione avrebbe svolto un buon compito nell’ottica di frenare l’ascesa al potere della estrema destra in Italia. Certo, da quel che per ora si vede, anche dai movimenti osservati in Basilicata, ad oggi anche questa scissione sembra una grande operazione da ceto politico in cerca di sopravvivenza. Basti dire a mo’ di esempio che in questa regione, oltre a De Filippo, Renziano della seconda o terza ora, e a un gruppo di valorosi Renziani della prima, starebbero meditando l’abbandono (definitivo) del Pd anche Marcello Pittella, accompagnato eventualmente da Mario Polese e da Luca Braia. Cioè, il solito notabilato clientelare meridionale, avendo ormai spazi ridotti quasi a zero nel Pd, medita di saltare sul carro della nuova rivoluzione.
E con questo, per ora, ho detto tutto.
Antonio Ribba