Oggi, 7 maggio, nell’inserto PLUS 24 del Sole 24 Ore, Marcello Frisone pubblica la notizia relativa all’annullamento di un contratto derivato di tipo Interest Rate Swap da parte della Corte d’Appello di Torino (che conferma la sentenza di primo grado, appunto, del Tribunale di Torino).
Dunque, per chi suona la campana?
Per quanto il derivato in questione sia associato ad un mutuo a tasso variabile stipulato da un privato, un mutuo trentennale per un ammontare di 175 mila euro, è da ritenere che la sentenza sia di un qualche interesse anche per la “nostra” Regione Basilicata, vincolata a due contratti derivati di ben più rilevante ammontare con Ubs e Dexia, con scadenza 2019 (ne abbiamo parlato di recente qui, su Hyperbros).
La tipologia di contratto derivato, nel caso di Torino, è del tutto comparabile alla tipologia dei contratti lucani: contratto di tipo swap plain vanilla (cioè, semplice gelato al gusto di vaniglia, nella terminologia anglosassone) con finalità di copertura dal rischio di aumento del tasso d’interesse. La cliente paga un tasso fisso del 4,72% e riceve dalla Banca (Banca regionale europea, gruppo Ubi Banca) l’Euribor a 6 mesi che, al momento della sottoscrizione del contratto, 9 anni fa, si aggirava intorno al 4% e che, invece, ai dati ufficiali di mercato registrati ieri si trova ora in territorio negativo, ad un valore pari a -0,144%). Come si vede, le similitudini con i contratti sottoscritti dalla Regione (mutatis mutandis, ovviamente) sono molto forti.
Esattamente come accaduto alla Basilicata, la povera impiegata, stante la fortissima caduta dei tassi Euribor, si trova a dover sostenere dei forti flussi differenziali in favore della banca, fino a quando non decide di rivolgersi ad un legale chiamando in giudizio la banca.
Sia nella sentenza di primo grado che nell’appello vengono accolte le ragioni della cliente che sostiene esistano costi impliciti mai dichiarati per un ammontare di 1.279(!) euro. In aggiunta, e si tratta di un rilievo molto interessante, il Tribunale di Torino rileva anche l’assenza all’interno del contratto degli scenari probabilistici, in altri termini della stima della probabilità di perdere o di guadagnare sottoscrivendo il contratto. In conclusione, il derivato è nullo e la Banca regionale europea viene anche condannata alla rifusione delle spese legali, per 3.600 euro.
Ora, partendo dall’interessante vicenda dell’impiegata di Torino e venendo a Potenza, ci si potrebbe chiedere: cosa aspetta la Regione Basilicata ad avviare un’azione legale contro Ubs e Dexia? È ormai evidente come le sentenze dei tribunali appaiono sempre più spesso orientate al riconoscimento della presenza di costi impliciti nei contratti e, dunque, al loro annullamento. Tra l’altro, la consulenza giuridica richiesta nei mesi scorsi dalla Regione dovrebbe aver chiarito la presenza di tali costi impliciti.
L’aspetto dello scenario probabilistico, quale essenziale elemento informativo per il contraente, è ugualmente rilevante e sarebbe a tal proposito interessante verificare se esso sia presente o meno nei due contratti sottoscritti nel 2006 dalla Regione. Per quanto, va riconosciuto, la capacità di analisi e di ricerca delle informazioni da parte di un ente regionale dovrebbe (e qui sottolineo “dovrebbe”) essere superiore a quella di un privato cittadino.
Più in generale, e pur riconoscendo i rischi di fallimento di un’iniziativa legale contro le banche, cosa ha da perdere la Regione Basilicata da un’eventuale azione giudiziaria? Non molto più che le spese legali! Tuttavia, qui le spese legali eventualmente da sostenere vanno confrontate con una “perdita”, cioè con un deflusso finanziario dalla Regione verso le Banche, che alla scadenza dei contratti, cioè nel 2019, avrà probabilmente raggiunto i 52 milioni di euro. Una somma enorme per una piccola regione, dati anche i tempi di vacche magre. Ovvero, un trasferimento di ingenti risorse dai cittadini lucani verso le due banche d’affari!
E, dunque, può la Regione Basilicata continuare a temporeggiare su una questione di tale rilievo?