Ancora sui vitalizi e sui costi della politica: una modesta proposta ai Consiglieri Regionali.

Un fotogramma del film Ritorno al Futuro

Un fotogramma del film Ritorno al Futuro

DI ANTONIO RIBBA – È assai dura la polemica che si è scatenata sul progetto di legge regionale che prevede un taglio, temporaneo e caratterizzato da progressività, sui vitalizi percepiti dagli ex consiglieri regionali. L’iniziativa, va detto, è stata concordata in sede di Conferenza delle Assemblee legislative delle Regioni e, dunque, non riguarda la sola Basilicata.

In questo post non intendo intervenire sull’ormai consolidato dibattito relativo alla intangibilità (o meno) dei cosiddetti diritti acquisiti, ma proporre un arricchimento del menù di interventi sui costi della politica, da attuarsi a cura del Consiglio regionale.

Premetto che, a mio parere, interventi mirati su specifiche categorie di pensionati (anche i politici, di professione o meno, dopotutto, non percepiscono altro che un reddito da pensione!) hanno sempre un leggero tratto di odiosità: un magistrato o un professore universitario ad alta anzianità di servizio, con qualche migliaio di euro mensili di pensione, ha forse versato nella propria vita lavorativa adeguati contributi? Un professore di scuola secondaria, poniamo oggi 70enne, ritiratosi dall’insegnamento all’età di 40 anni e che continua a percepire una “modesta” pensione superiore ai mille euro al mese, quale giustificazione contributiva potrebbe esibire per il reddito che percepisce?

Tutto ciò per dire che, rispetto alle severe riforme introdotte negli ultimi anni nel sistema previdenziale, gli antichi pensionati, chi più chi meno, si caratterizzano per trattamenti molto (molto) migliori rispetto agli attuali lavoratori. Cioè, rispetto ai futuri pensionati.

Ora ritorno al tema “taglio dei vitalizi per gli ex consiglieri” e faccio una proposta. Penso che uno degli aspetti più limitativi, se non proprio inaccettabili, dell’iniziativa in cantiere, consista nel fatto che l’equità sia perseguita, rigorosamente, solo “per gli altri” (cioè per gli ex) ma che nulla, almeno ad oggi, sia stato previsto “per sé” (cioè per gli attuali consiglieri-legislatori).

In sostanza, ritengo che l’intervento di taglio sui vitalizi passati verrebbe reso assai più solido e credibile se fosse inserito in un pacchetto di interventi più complessivo, con l’inserimento di qualche piccolo sacrificio previsto pure per le tasche degli attuali Consiglieri regionali.

Dunque, la proposta che faccio è che nel pacchetto: “Ulteriore taglio ai costi della politica”, da approvarsi in Consiglio, sia inserita anche la previsione di un taglio del 10% per 4 anni, cioè fino alla fine della legislatura, per l’indennità di carica lorda percepita dai consiglieri.

Si tratta di in intervento che peserebbe per circa 660 euro lordi mensili su ciascun consigliere, consentendo, quindi, una ulteriore riduzione delle spese complessive per “indennità e vitalizi” per un ammontare di circa 160mila euro annui e di 650mila euro complessivi nell’arco dei 4 anni di legislatura residua.

A questa previsione normativa ne aggiungerei anche una seconda: l’età di pensionamento per i Consiglieri regionali, attuali e passati, ancora in regime di vitalizio (il che include tutti i Consiglieri in campo fino alla IX legislatura) è portata immediatamente, per tutti, a 67 anni e per il futuro è soggetta a possibili, ulteriori aumenti in relazione alle revisioni ISTAT sulle aspettative di vita. La ratio di questa seconda norma è la seguente: visto che il comune lavoratore matura il diritto alla pensione intorno ai 67 anni, perché il Consigliere regionale (o il Parlamentare) dovrebbe maturarla ad una età inferiore? Forse perché il lavoro politico è più usurante rispetto ad altri lavori e merita, dunque, un trattamento privilegiato?

Naturalmente, conosco già possibili risposte e contro-obiezioni a queste proposte di taglio delle indennità: “Siamo già intervenuti sui trattamenti onnicomprensivi, trasferendo una quota delle spese di rimborso previste per i consiglieri verso l’assunzione di collaboratori; inoltre, per noi nuovi consiglieri dell’attuale, X legislatura, i vitalizi non sono più previsti”.

Tutto vero, tutto corretto. Ma, c’è qualche ma, in effetti. Per prima cosa faccio notare che anche nei confronti degli ex consiglieri regionali sono già stati attuati, negli anni, ripetuti interventi di taglio all’entità dei vitalizi percepiti. Inoltre, se si chiede un ulteriore sacrificio, ciò logicamente implica l’esistenza di una stringente necessità di aggiustamento del bilancio pubblico. Aggiustamento al quale equità richiederebbe che, seppur simbolicamente, dessero un contributo anche i politici attualmente in carica.

Infine, faccio rilevare che nelle prime uscite pubbliche dopo l’elezione, il Governatore dell’Emilia Romagna, Bonaccini, ha indicato tra gli atti più urgenti della nuova legislatura regionale proprio il taglio delle indennità (degli assessori, essendo egli Presidente della Giunta e non avendo competenza sui tagli alle indennità dei consiglieri).

Dopotutto, in Basilicata, anche dopo le varie riforme realizzate, il Presidente del Consiglio percepisce un netto totale di circa 6mila euro + un generoso rimborso spese di circa 2.500 euro (trattamento identico al Presidente della Giunta). Invece, un tipico Consigliere, oltre al suddetto rimborso spese, percepisce circa 4.700 euro netti mensili.

Insomma, e in conclusione: si può fare.

8 Comments

  1. Mimmo Savino says:

    Navigando su twitter, cosa che faccio assai di rado, dopo aver chiuso il mio account facebook perchè stufo di esibire il mio ego, mi sono imbattuto in questo articolo e non ho saputo resistere, per una volta, alla tentazione di proporre in poche parole la mia visione della questione ad intellettuali capaci di raffinate analisi, come il Prof. Ribba in particolare, e agli altri che compongono la simpatica famiglia di Hyperbros, che approfitto per salutare.
    Confesso che da anni ormai trovo poco interessante partecipare al dibattito politico pubblico, soprattutto a livello locale ma non solo. Il motivo è che il livello della discussione ha raggiunto quote di banalità senza precedenti.

    Entriamo nel merito? Restiamone fuori!

    Perchè se ormai tutti riconoscono che la crisi dell’eurozona (mi pare che la Basilicata sia inclusa in tale area valutaria, ma potrei sbagliarmi) è una crisi di debito privato (famiglie e imprese),dovremmo trovare cruciale l’argomento della riduzione del debito pubblico da praticare attraverso i famosi tagli alla spesa pubblica, accorpamento regioni, svendita patrimonio pubblico?

    Ora, capisco che l’argomento è di gran moda (da 30 anni) e ha presa sull’italiano-lucano medio, a cui dal canto mio non mi rivolgo perchè non ne ho bisogno, e capisco che gli sprechi esistono e vanno combattuti, ma a quando una riflessione seria e documentata sulle vere cause della crisi e sulle strade da percorrere per superarla?

    Volete forse convincermi del fatto che se il consigliere regionale prende 600 euro in meno trovo un lavoro, vendo i prodotti in magazzino, non chiudo il negozio o lo studio professionale?
    Ecco, mi aspetto uno sforzo in più da Hyperbros. E ci conto.

    Io l’ho già fatto…

    Naturalmente liberi di girarvi dall’altra parte e di continuare (ancora per poco) a far finta di nulla.

    Mimmo Savino

  2. AntonioR. says:

    Il tuo punto di vista è interessante. Certo, il terreno di battaglia che hai scelto, “può questo taglio lucano delle indennità risolvere la crisi economica?”, ti porta rapidamente alla vittoria a tavolino per 3 a 0.
    Tuttavia, è una fortuna che io abbia titolato “una modesta proposta”! Avevo in effetti coscienza di non stare affrontando un’analisi della Grande Recessione.
    Ma non voglio sviare sul tuo punto di fondo: è vero che io prendo il quadro esterno come un dato e che questo mi spinge a scavare verso l’efficienza e il taglio dei costi. Ma se una delle conseguenze dell’Unione Monetaria è anche la ricerca di maggior rigore nel controllo degli sprechi e il perseguimento di maggiore efficienza, sinceramente, non la ritengo cosa negativa.
    Il che non mi impedisce di vedere che un risanamento fondato solo sull’austerità è errato. A questa conclusione non sono certo approdato oggi: c’è un mio articolo del 2009 su una rivista on-line in cui sosteneva il Quantitative Easing, con acquisto diretto di titoli pubblici da parte della Bce, ed un forte aumento degli investimenti pubblici nell’area euro.
    Naturalmente, resta ferma la mia adesione all’euro, come progetto politico, prima ancora che economico, di lungo periodo. Che, suppongo, sia la differenza fondamentale nelle nostre posizioni.

  3. Mimmo Savino says:

    Caro Prof. Ribba,
    avrei potuto vincere a tavolino in diverse occasioni nella mia vita ma ho fatto saltare il banco tutte le volte che la gara non mi interessava più. Ho un brutto carattere, direi poco incline all’opportunità fine a sè stessa.

    Se parto dalla Basilicata è perchè è la prospettiva di questo blog(capisco l’esigenza editoriale), ma questo non credo ci impedisca di ampliare la prospettiva e portarla sul piano nazionale. La logica è la stessa.

    La crisi è dovuta allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni spendaccioni? Tagliamo la spesa! Anche Stacchio, il mio fornaio sarebbe d’accordo. La tesi non farebbe infatti una piega se non fosse sbagliata l’ipotesi. A dirci che la crisi dell’eurozona è una crisi di debito PRIVATO e non pubblico è stato perfino il vice presidente della Bce, meno di due anni fa. Dunque in Basilicata come in tutta Italia che senso ha aggredire lo Stato?

    Che senso ha?

    L’esigenza di controllare i costi, oltre il dovuto, visto che la spesa pubblica italiana non presenta particolari anomalie rispetto alla media europea, non è un effetto diretto dell’Unione ma l’effetto indiretto che una pessima gestione dell’intemediazione privata del credito (soprattutto dal lato dell’offerta), all’interno di questa santa unione, ha provocato nel settore privato, in periferia in particolare. I motivi sono tanti e non vorrei ridurmi a poche righe. Ma ci siamo capiti.

    Il QE, il famoso bazooka di Mr. Mario, non dovrebbe servire a nulla. Gli squilibri strutturali in termini di cambio (rivalutato per l’italia, svalutato per la germania)i differenziali di inflazione, le difformità nei costi e nelle regole di funzionamento dei vari mercati nazionali, non possono essere sanati con nessuna politica monetaria centralizzata. Scommettiamo? Magari perdo.

    L’euro e con esso la liberalizzazione dei mercati internazionali dei capitali e l’impossibilità dello Stato di finanziare il proprio deficit mediante Banca Nazionale, compongono un progetto politico che a mio giudizio sarà assimilato al nazismo o al comunismo sovietico. Stupisce che molti intellettuali di sinistra non colgano l’evidenza; nel caso del prof. Ribba la cosa mi addirittura mi addolora.

    Come si può restare impassibili di fronte al più colossale attacco al lavoro degli ultimi 80 anni?

  4. AntonioR. says:

    Sull’euro ci sono molti giudizi e diversi pregiudizi. I fatti dicono che il finanziamento del debito pubblico italiano è ai livelli minimi mai registrati da un secolo, a dispetto dell’alto rapporto debito/pil. Sempre i fatti, e le decisioni delle ultime ore, dicono che una parte non marginale di questo debito sarà monetizzata entro settembre 2016, in conseguenza degli acquisti di titoli promossi dalla Bce. Il ritorno a una banca centrale nazionale non potrebbe garantire molto di più anzi, forse, potrebbe garantire molto meno, visto che l’assoluta sovranità monetaria per una economia aperta di dimensioni relativamente piccole è, in larga parte, un mito. Sempre che si voglia mantenere aperto il sistema economico e politico. Ma mi pare che perfino Cuba voglia ormai aprirsi agli scambi commerciali e alle relazioni politiche con il nemico storico.
    Certo, con il ritorno alla lira ci potrebbe essere un di più di svalutazione del tasso di cambio, anche se l’euro si sta già alquanto deprezzando nei confronti del dollaro e questo favorirà le esportazioni italiane verso quell’area valutaria.
    Insomma, i costi, non piccoli, dell’unione monetaria ci sono. Ma spesso si fatica a vederne i benefici. Dire che il progetto politico dell’euro sarà assimilato alle realizzazioni dei regimi totalitari mi sembra davvero un’enormità: stiamo parlando di un insieme di paesi a regime democratico e se l’Italia o la Grecia, attraverso decisioni di governi e di parlamenti dovessero decidere di uscire dall’euro nessuno potrebbe comunque impedirlo. Ma a quanto pare, questo non lo vuole neppure Tsipras.
    il mio parere è che il confronto tra progresso e conservazione, che storicamente ha caratterizzato la dialettica politica nazionale, potrà svolgersi in futuro all’interno di una Unione Politica, non solo economica e Monetaria, Europea.

  5. LucianoD says:

    Non sono certo un economista, ma visto quante previsioni sballate, quanti falsi consigli, quante opinioni contrapposte i cultori della materia ci hanno propinato in questi ultimi anni facendo dell’economia la scienza meno esatta possibile, anche io mi sento di poter esprimere alcune considerazioni terra terra accogliendo l’invito di Savino.
    Mi par di capire che Savino individui nella crisi del debito privato l’unica causa di tutti mali dell’Eurozona, risolta la quale c’è la soluzione dei nostri problemi, contrapponendola ad una certa insignificanza del debito pubblico. Mi pare sia una spiegazione sommaria , innanzitutto perché non è vera per tutti gli Stati che compongono l’Eurozona, visto che in Germania e nel corollario di Stati del nord Europa la crisi non si è verificata, per lo meno in questi termini. Invece è stata devastante a vari livelli nei cosiddetti PIGS, alcuni dei quali avevano un debito pubblico effettivamente basso come Spagna e Irlanda. Ma quale differenza io riscontro da un lato tra Grecia devastata, Italia che è ancora in fase di decrescita, e l’Irlanda e la Spagna che negli ultimi trimestri stanno vedendo crescere il loro PIL in modo evidente? I primi partono da un fardello di debito pubblico tra i più alti del mondo, loro da uno basso per cui si sono potuti permettere di ampliare la spesa pubblica nel momento cruciale della crisi (Spagna passata dal 40% al 100% del rapporto deficit/PIL). Quindi se è indiscutibile che esista una crisi di debito privato, io credo che il debito pubblico preesistente sia concausa dell’impasse italiana, delle nostre incredibili difficoltà a venirne fuori. In altre parole i due debiti non sono contrapposti l’uno all’altro per cui si potrebbe contrastare l’uno ignorando l’altro, ma purtroppo si condizionano a vicenda.
    Savino dice che manca una banca nazionale che possa finanziare il debito pubblico, ma ammesso che ci fosse e noi non fossimo nell’Euro, fino a che punto può tendere il deficit pubblico stesso e con quali conseguenze? Come accade in tantissimi paesi, lo scotto minimo da pagare nel breve periodo è un’inflazione via via ingravescente che erode il potere d’acquisto delle famiglie, fuga di capitali su monete forti e non è detto che l’economia cresca. E l’Italia ha già visto negli anni 80 in periodi di spese allegre all’origine del debito attuale un’inflazione annua oltre il 20%, con il debito pubblico crescere vertiginosamente fino ad una spesa di soli interessi di oltre 70 miliardi annui, che fa crescere ancora il debito nonostante un attivo primario. Basterebbe oggi pagare la metà di questi interessi, per avere tanti miliardi da spendere in opere pubbliche. È un fatto che ogni debito contratto oggi, un domani qualcuno ed in qualche modo dovrà pagarlo.
    L’acquisto di debito pubblico avviato da parte di Draghi, dopo aver superato le egoistiche resistenze germaniche, credo che vada in questa direzione, abbassando gli interessi che noi dobbiamo pagare e disponendo quindi di qualche fondo in più per investimenti. Questo non deve far abbassare la guardia al contrasto della spesa pubblica improduttiva, tra cui i vitalizi, quel gentile regalo che i politici si son fatto ignorando ogni principio di equilibri finanziari, ma la soppressione del quale avrebbe un significato sociale che andrebbe ben al di la del puro valore economico.
    Non dobbiamo dimenticare poi che la nostra crisi economica non è solo finanziaria, ma strutturale con la perdita di 2 milioni di posti di lavoro nel manifatturiero dovuti alla globalizzazione, fenomeno al quale opporsi mi sembra una pura utopica velleità. Occorrono idee, ricerca, investimenti, innovazione per competere, quei posti non possono essere sostituiti con semplici sovvenzioni pubbliche.
    La frase conclusiva “L’euro e con esso la liberalizzazione dei mercati internazionali dei capitali e l’impossibilità dello Stato di finanziare il proprio deficit mediante Banca Nazionale, compongono un progetto politico che a mio giudizio sarà assimilato al nazismo o al comunismo sovietico” mi risulta alquanto ermetica. Se potesse chiarire…..

  6. Mimmo Savino says:

    Intanto vorrei esprimere il mio personale apprezzamento per il fatto che il Prof. Ribba (e il Sig. LucianoD che tuttavia farebbe gesto cortese se fosse altrettanto poco ermetico nell’esprimere la propria identità) abbia trovato interessante una discussione che finora, sui media locali e persino su uno dei blog più seguiti del nostro territorio, non ha trovato ancora lo spazio che a mio giudizio merita.
    Provo a rispondere al Professore, cui rinnovo la mia stima, con l’auspicio che possa rivedere almeno alcune delle sue posizioni. Naturalmente il tutto non può ridursi ad paio di commenti off-topic come questi, ma rendiamo comunque utile l’occasione?
    A me risulta che la ragione principale dell’abbassamento del costo del denaro in tutto il mondo (non solo nell’eurozona!) a partire dal decennio scorso, sia stata principalmente l’accumulazione di risparmio da parte di alcune economie emergenti con conseguente iniezione di una notevole offerta di liquidità a livello globale (mi riferisco al discorso di Ben Bernanke nel 2005). Dunque non sono solo io, che so meno di nulla, ad affermare che l’euro ha avuto un ruolo secondario in questo caso.
    Tra le altre cose, il fatto che il denaro costi di meno rispetto a quanto dovrebbe, in una economia, aumenta pericolosamente (“droga”) la naturale propensione all’indebitamento PRIVATO dei suoi operatori creando squilibri finanziari. In una condizione permanente di mancato allineamento (per l’Italia dell’ordine del 20%) della valuta rispetto ai fondamentali della sua economia, si producono i noti squilibri commerciali. I due fenomeni sono alla base della distruzione della nostra economia fatta di piccole e medie imprese e di export. Il nostro tessuto economico con l’euro è stato aggredito sul piano finanziario (troppo indebitamento privato facile) e commerciale (caduta della domanda interna ed estera dei nostri beni).
    L’operazione appena annunciata da Draghi l’ho commentata già. Personalmente sto leggendo diversi commenti di illustri economisti e sto scoprendo aspetti che finora non avevo considerato. Di certo il bazooka non servirà a migliorare la situazione. Anzi, costituirà uno stimolo alla ripresa del deficit verso l’estero. Per il motivo che, tenuti fermi i differenziali di inflazione fra i paesi dell’area valutaria, converrà indebitarsi maggiormente in paesi a più alta inflazione, cioè noi, e dove c’è più debito. Concetto già espresso, storia già vista. Il divario commerciale Nord-Sud tornerà ad aumentare, perché sempre per i differenziali di inflazione e per l’effetto del cambio fisso, continuerà a convenire per noi Pigs comprare prodotti dai paesi del nord. E poi tornerà un altro Monti a depredare senza pietà, anzi arriverà la Troika. E’ il sogno dell’auto-razzista italiano medio, che è soprattutto di sinistra, una sinistra vittima della sindrome di Stoccolma. Lasciamo stare.
    A proposito invece di “economie relativamente piccole” secondo uno studio di Goldman-Sachs nel 2050 la Corea del Sud avrà il Pil pro capite più alto del pianeta. Nessuno gli avrà ancora proposto l’unione monetaria con la Cina! Quindi parete grande uguale pennello grande è confermato dai “nemici” che non funziona. Ma allora ci vuole solo un “grande pennello”! E anche un paese piccino può così trovare il suo spazio nel mondo. Sarà per questo che l’Italia della “liretta”…
    Una Banca Centrale che finanzia la Spesa in modo razionale è un tassello essenziale per liberarsi nuovamente dalle catene dei mercati finanziari. Lo sviluppo industriale e civile italiano ha avuto origine anche su questa base. Non è accettabile che un governo sia guidato al guinzaglio da entità finanziarie. L’indipendenza della Banca Centrale quello sì che è un mito, una presa in giro bella e buona. La politica monetaria deve tornare nelle mani del Governo del Popolo italiano. E con essa la politica valutaria, economica e fiscale. Altrimenti non potremo dire di essere in democrazia. Siamo colonie.
    E ora veniamo ad un altro tema sollevato nel mio commento precedente.
    In realtà (devo aver scritto troppo velocemente) il mio riferimento era alla liberalizzazione dei movimenti internazionali dei capitali. Insieme al reintegro dei cambi flessibili (che poi è una tendenza mondiale in atto), alla separazione tra banche d’affari e banche commerciali, al ritorno alla Banca Centrale che finanzia razionalmente la Spesa, alla nazionalizzazione dei principali servizi energetici, di telecomunicazioni, trasporti ecc., compone un mosaico credibile, razionale e forte.
    Al simpatico LucianoD, con riferimento alla liberalizzazione dei movimenti internazionali dei capitali, vorrei (sommariamente) fare una domanda: se il capitale è mobile (della donna si è detto) e il lavoro lo è di meno (devo spiegare perché?), nel conflitto distributivo chi avrà la meglio? Proviamo in un altro modo? Ha notato che lo sciopero funzionava negli anni 60-70 per ottenere rivendicazioni e oggi non serve a quasi nulla? Perché?
    Strano poi però come se si svaluta l’euro le cose vanno bene, se invece lo faceva la lira (a fronte della rivalutazione di altri) no. Il mondo è una contraddizione continua.
    Ricordo che gran parte del commercio nazionale è rivolto ai mercati dell’eurozona, lo ha spiegato bene J.Sapir in un recente articolo. All’interno di questi mercati il riallineamento dei cambi al reale valore delle economie dei paesi che ne fanno parte può avvenire solo con il ripristino dei cambi flessibili. L’andamento del valore dell’euro rispetto ai mercati terzi è un quindi problema di ordine secondario.
    Per quanto riguarda la mia presunta “enormità” scritta in tema di assenza di democrazia sostanziale nei paesi dell’Eurozona, dissento e rinvio il giudizio finale al futuro.
    Tsipras è parte integrante del progetto eurista, come lo è Grillo. Quella merda.
    Ecco mi è scappata proprio alla fine, lo sapevo.
    Saluti

  7. LucianoD says:

    Caro Savino
    Non ho difficoltà a farti conoscere in modo completo il mio nome (che vedi sotto), ma credo che non ti dirà nulla come a me non dice nulla il tuo. Uso la forma breve perché quando mi sono iscritto ho visto che era un’abitudine diffusa tra i commentatori casuali, con esclusione ovviamente dei conduttori del blog che non conosco personalmente eccetto il prof. Caserta. Giustamente, là dove non si dicono menzogne né si offende nessuno, non c’è motivo di nascondere la propria identità, ed in questo blog si esprimono solo propri pensieri da confrontare. E personalmente devo dire che i toni pacati e la possibilità di riflettere un po’ su quello che si dice, mi rendono gradevole questo modo di dialogare pur nella spersonalizzazione dell’ambiente virtuale.
    Venendo al dunque, qualche altra osservazione da semplice lettore di giornali (mentre tu mi sembri uno studioso della materia). Dalle tantissime tue argomentazioni mi par di capire in buona sostanza che appartieni a quella corrente di pensiero che vede nell’euro la fonte di tutti i nostri guai ed auspica l’uscita ed un ritorno alla lira, perché così la banca nazionale potrà liberamente immettere denaro per finanziare il debito pubblico e far decollare il paese. Citi l’Italia della liretta, ma non credi che quello fosse un momento storico irripetibile (basso debito pubblico, basso costo del lavoro, assenza di concorrenza di paesi asiatici, alto tasso di innovazione, entusiasmo postbellico, protezionismo ecc) condizioni che oggi trovi in Cina e compagnia? Citi la Corea come piccolo paese ma potenza economica (chi non la riconoscerebbe come tale), ma è l’eccezione tra i 100 possibili esempi opposti di piccoli paesi insignificanti. Perciò ti ribalto il dubbio, se si svaluta la lira le cose vanno bene, se si svaluta l’euro è controproducente perché alimenta il debito privato dei PIGS in particolare, perché siamo colonie; ma di chi? Della Germania mi par di dedurre, unica economia sopravvissuta allo tsunami della crisi, non certo della Francia che arranca o della GB che è fuori. Personalmente non credo a questa privazione totale della nostra democrazia, e trovo normale che quando si è deciso di entrare in Europa, si sapeva di cedere parte della sovranità, non ad un colonizzatore, ma alla volontà che emerge dall’insieme degli stati, per godere degli indubbi vantaggi derivati finora. La democrazia non si perde, ma si diluisce in numeri più grandi. D’altra parte, se è un vantaggio uscire dall’euro, credo che lo valuteremo concretamente presto con la Grecia (lo auguro ai poveri greci). E poi questi paesi del nord che ci colonizzano, bene o male acquistano il 40% delle nostre esportazioni, stabili se non in crescita e con un saldo commerciale attivo nonostante la moneta unica.
    Sui danni dei movimenti internazionali dei capitali oggigiorno concordo, ma è sul rimedio che è difficile seguirti. Mi sembra di capire che ipotizzi una sorta di isolamento economico con propria moneta, proprie regole con capitali bloccati all’interno, nazionalizzazione di quasi tutto .. ma cos’è la Corea (del Nord questa volta)? Io credo che nel mondo d’oggi un miglior controllo possa derivare solo da regole internazionali condivise, e per aver voce in capitolo, un’Italietta isolata è praticamente insignificante a livello globale. Ma al contrario solo come Europa possiamo discutere con USA, Cina o chicchessia. Alcuni recenti cedimenti della Svizzera li vedo in questa chiave.
    Per chiudere da parte mia questi discorsi che potrebbero essere infiniti (si è partiti dai vitalizi) mi permetto di esprimerti, senza alcuno spirito polemico, una sensazione generale sui tuoi ragionamenti, e cioè mi sembra che tu sia un po’ troppo categorico sul rapporto: una sola causa genera un solo effetto, mentre a me sembra che una causa può essere all’origine di più effetti, un effetto può derivare da più cause.
    Con altrettanta simpatia
    Luciano Di Palma

  8. Mimmo Savino says:

    Egregio Luciano Di Palma,
    ho apprezzato molto il tono delle sue risposte e, nonostante ritengo che lei, come la maggior parte dei lettori di giornali o telespettatori di trasmissioni tv, come l’italiano medio che cerca di informarsi come può (male!), sia vittima inconsapevole proprio delle lievi imprecisioni che una certa stampa e tv (tutta) regolarmente ci propinano, di tanto in tanto nei suoi discorsi scorgo qualche segnale che mi induce a pensare che la partita con lei e la sua indiscutibile intelligenza non sia del tutto persa. E’ per questo motivo che, nonostante non sia un grande scrittore, mi sforzo comunque di risponderle.
    Non ho mai affermato che l’euro è la fonte di tutti i nostri guai. Ho detto invece che esso costituisce una parte importante del problema. Il superamento della moneta unica è condizione necessaria ma non sufficiente per uscire dal tunnel della crisi. L’euro, chiariamoci subito, è innanzitutto un potentissimo strumento di repressione salariale, un metodo di governo del conflitto distributivo, che un tempo nessuno si vergognava di chiamare col suo nome storico: lotta di classe. Ed è dunque un strumento di repressione della democrazia. Le riporto le parole del premio nobel per l’economia 1999 (“per la sua analisi della politica fiscale e monetaria in presenza di diversi regimi di cambio e per la sua analisi delle aree valutarie ottimali “,) Robert Mundell, di certo non un amico del popolo, ma potrei citarle decine di altre perle:
    “L’euro è lo strumento grazie al quale i congressi e i parlamenti possono essere spogliati di ogni potere sulla politica monetaria e fiscale. Il fastidio della democrazia può così essere rimosso dal sistema economico. Senza politica fiscale l’unico modo in cui le nazioni possono mantenere i posti di lavoro è la riduzione competitiva delle regole del business”.
    Cosa significa “riduzione competitiva delle regole del business”? Ci torno alla fine.
    Nessuno dei commentatori critici dell’euro-pensiero, se ha un minimo di onestà intellettuale, limiterebbe la questione solo all’euro, tralasciando gli aspetti che peraltro mi pareva di aver citato già: il controllo della Banca Centrale da parte del Governo per finanziare la Spesa, la regolamentazione dei movimenti internazionali dei capitali (prima del 1990 le risulta che l’Italia sia stata isolata come Cuba?), la reintroduzione della separazione tra banche d’affari e banche commerciali, ispirata dal celebre Glass Steagall Act, varato a seguito della crisi del 1929. In Italia, come è noto, la separazione fu dovuta alla legge bancaria del 1936 (tocca ammetterlo), abrogata grazie a Mario Draghi (!!), padre del Testo Unico Bancario del 1993 (persino in anticipo rispetto agli americani che l’abrogarono nel 1999). Sulla nazionalizzazione dei servizi pubblici e delle industrie principali e strategiche, la invito a informarsi sui risultati che le privatizzazioni selvagge, iniziate negli anni 90 nel nostro paese, hanno prodotto in termini di qualità del servizio e dei prezzi. Senza scomodare ragioni più dichiaratamente politiche che pure hanno il loro peso. Per questo la inviterei a riconsiderare le mie affermazioni nella loro interezza. Lo sviluppo e l’ affermazione internazionale dell’economia italiana si sono avuti alle condizioni suddette. Dice, ma adesso c’è la Cina! La Cina c’è sempre stata e per di più abitata da cinesi! Il problema è che se il capitale è libero di muoversi, il lavoratore lo è di meno come abbiamo visto e, fatalmente, il basso salario cinese non aiuta il salario italiano. Oggi comunque, chiariamoci, la Cina rappresenta intorno al 7% delle importazioni italiane, la nostra Cina è la Germania. E questo non dovrebbe stupire nessuno. Pensi che gli economisti si sono presi la briga di dimostrare una verità intuitiva: si commercia di più con i paesi più vicini. Di che colore è il cavallo bianco di Napoleone? Ed è falso che il saldo commerciale con la Germania sia positivo per noi. Non lo è dagli inizi del decennio scorso. Prima del 2000 invece le cose andavano diversamente. Ma si tratta anche qui di coincidenze e/o di molteplici fattori non considerati.

    Ho già spiegato che la svalutazione dell’euro è un fenomeno meno importante della liberazione della fluttuazione dei cambi nei paesi dell’eurozona, perché con questi si commercia di più. Quindi svalutare la lira, cioè riallineare la moneta al reale valore della nostra economia, ci aiuterebbe anche nei confronti dei nostri principali mercati di sbocco, non solo verso quelli secondari. Pare poca la differenza?
    Mi permetta di farle notare invece, a proposito di “volontà politica che emerge dall’insieme degli stati” che il fatto stesso che siamo in crisi dimostra che tale volontà non c’è mai stata, o almeno non è mai stata messa in atto. Basterebbe che i paesi del nord praticassero politiche fiscali più espansive per dare ossigeno ai paesi del sud. I lavoratori tedeschi dovrebbero essere cioè retribuiti in modo proporzionale alla loro produttività media del lavoro in modo non solo da dare impulso alle importazioni, cioè alle nostre esportazioni, riducendo anche gli squilibri finanziari, ma anche al fine di ridurre la pressione verso un ulteriore e sanguinaria deflazione salariale nel nostro Paese (le riforme!) che tradotto significherebbe ulteriore distruzione di domanda interna, in una spirale che ci condurrà alla morte economica per asfissia, come è già successo ai nostri fratelli greci, verso i quali noi tutti dovremmo portare rispetto per la tragedia che hanno vissuto in nome del “sogno” europeo. Potrei aggiungere altri fatti che dimostrano l’inconsistenza di quella volontà politica che anche lei sogna (non solo lei, l’on. Gianni Pittella per restare nel nostro territorio è un poeta del sogno europeo). Un esempio recente è il limite del 20% nell’accettazione del rischio legato all’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, appena annunciato da Draghi, mentre il restante 80% resterebbe nella mani delle Banche Centrali Nazionali. Il fatto originario è invece la volontà di far precedere l’unione monetaria a quella politica, che in sé la dice già lunga.
    Nessuno qui sta parlando di “un’Italietta isolata è praticamente insignificante a livello globale”. Io vorrei parlare di una nazione libera di creare relazioni internazionali, ma anche libera di dotarsi di un proprio indirizzo politico, economico e sociale. Non c’è bisogno di essere grandi per stare al mondo. Pensi alle formiche e ai dinosauri. Non ci si estingue perché si è piccoli.
    Infine, io penso che se non è chiaro il problema, non andiamo da nessuna parte. Il problema è l’attacco ai salari che si è avuto a partire dagli anni 80 in tutto il mondo occidentale.
    Ogni volta che i salari vengono retribuiti meno della produttività media del lavoro, il capitalismo sperimenta crisi, perché ha bisogno di iniezioni di debito. In Italia la conseguente riduzione della domanda aggregata è stata coperta prima, per i primi 15 anni, col debito pubblico (gli imprenditori che in quegli anni hanno fatto fortuna non possono prendersela con lo Stato a giorni alterni) e poi (a muro di Berlino crollato) per i successivi 10 anni preparatori alla crisi, col debito privato. Fino allo scoppio della crisi americana del 2008 dalla quale tutti, tranne i Paesi dell’eurozona, si sono ripresi.
    Nel congedarmi lasciate che dedichi una citazione al Prof. Ribba.
    “La lotta del proletariato contro la borghesia è in un primo tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. E` naturale che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia.”
    (K. Marx – F. Engels, Il manifesto del partito comunista)

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