DI ANTONIO RIBBA – Ieri e oggi la stampa e le televisioni regionali hanno dato, giustamente, grande spazio e risalto alla decisione di governo e parlamento di finanziare la realizzazione della ferrovia dello Stato a Matera.
Sarebbe, peraltro, anche utile ricostruire quante volte in 120 anni sia stato fatto l’annuncio di una simile decisione o, almeno, di un simile orientamento da parte dei governi italiani.
È bene comunque dare subito il meritato riconoscimento ai Latronico, ai Folino, ai Liuzzi e ai Petrocelli, cioè in generale ad uno schieramento trasversale di parlamentari lucani che si è sempre battuto per questo risultato. E, naturalmente, sugli scudi Maria Antezza, che ha potuto far anche valere il suo rapporto politico privilegiato con il Presidente del Consiglio.
Ciò detto, ragioniamo brevemente sui fatti.
La certezza del finanziamento riguarda in realtà solo una decina di milioni messi a disposizione per il 2017. Su circa 200, ma forse anche più, necessari per completare l’opera. Ma una somma così irrisoria potevo mettercela pure io di tasca mia! Perché scaglionare, dunque, su un arco di 6 anni il finanziamento dell’opera, avvolgendolo così di un alone di inevitabile incertezza?
Sostiene Luca (Braia) che è del tutto logico procedere in questo modo, scaglionando l’erogazione dei finanziamenti. In effetti, può anche essere. Tuttavia, un po’ di odore di propaganda e di furbizia (da parte di Renzi e di Delrio), io che ho il naso sensibile, lo avverto.
In sostanza, perché Renzi, così convinto di quest’opera, non l’ha finanziata a partire dal 2014, appena insediato, o al limite dal 2015? Finanziandola, invece, in articulo mortis del suo governo e della legislatura, e per di più mettendoci così poche risorse reali?
Beh, magari si sarà convinto sotto la pressione di Maria, (un po’ meno sotto la pressione di Marcello).
Badare che la questione non è solo la (sana) sospettosità su queste operazioni-annuncio a pochi giorni da eventi politici di rilievo, ma riguarda soprattutto un dato di fatto: i 200 milioni di finanziamenti necessari per completare l’opera dovranno essere confermati, e dunque di fatto decisi, da altri governi e da almeno un altro parlamento.
Al momento, Renzi ha il 45% di probabilità di sopravvivere politicamente al referendum e il 51% di vincere le prossime politiche, condizionalmente alla vittoria al referendum. Cioè, il governo attuale ha meno di un terzo delle probabilità di essere confermato nel 2018.
Morale della favola.
Per ora godiamoci il risultato per l’annuncio di un’opera attesa in questa regione e dai materani da 120 anni. Poi, chiediamo a tutti i parlamentari lucani, attuali e futuri, ed ai governi regionali, attuali e futuri, di stringere un patto sulla mitica ferrovia a Matera: qualunque sia il colore del governo nazionale nel 2017-2018 e la maggioranza parlamentare a sostegno, si impegnino collettivamente a sostenere l’importanza di questa scelta e, dunque, lavorino sodo per indurre i futuri governi a confermare l’impegno finanziario statuale.
Ma, lo dico a tutti gli entusiasti osservatori e commentatori del risultato odierno, sarà durissima!
Un po come le scarpe di Achille Lauro…
Che sarà durissima, non c’è alcun dubbio!
Ma, proprio per questo, poichè i Governi PASSANO(nazionali e regionali, con relativi Parlamentari e Consiglieri), ma le comunità, i territori, con i loro problemi, RESTANO, sarà opportuno(meglio necessario)fare del tema del collegamento di Matera alla RFI un impegno consapevole della collettività materana e regionale: che nella ferrovia deve vedere una “conquista” di civiltà, e non un “regalo” di questo o quel politico e/o Governo.
Di questo “impegno”, l’Associazione “Matera Ferrovia Nazionale” ha parlato al Capo del Governo nel sia pur breve incontro di sabato scorso, ottenendone una “promessa”, e da ieri un riscontro concreto.
Lo stesso “impegno” va speso ovviamente nelle tornate elettorali e politiche, per mantenere stretto il cerchio della volontà collettiva intorno ai decisori, nazionali e regionali.
Compito nostro, degli “intellettuali”, è quello di fare da lievito (e custodi) di questa volontà e consapevolezza.
Se l’agognata ferrovia non si realizzerà, sarà comunque un po’ colpa nostra.
Condivido il commento e l’impostazione che alla questione ferrovia a Matera dà Lorenzo Rota: è problema collettivo, non di questo o quel governo o parlamentare.
Certo, oggi il Fatto Quotidiano classifica alla voce “mance elettorali” la decina di milioni di euro messi sulla Ferrandina-Matera e, all’ultimo momento, su decine di altre iniziative. Insomma, anche il riferimento di Maurizio alle scarpe di Achille Lauro ha un fondamento.
Tuttavia, rimane valida l’impostazione di Rota, che poi in fondo è la stessa che sostengo io in coda di post: il 2018 sarà lo snodo cruciale per capire se davvero l’opera andrà in porto e occorrerà molta forza d’urto collettiva, politica e sociale.
Perfetto!
A questo punto sta alla collettività materana e regionale, far sì che quella che ha tutto l’aspetto di essere una “mancia elettorale” (e magari qualcuno può davvero averla intesa così), ma non lo è perchè risponde ad un’esigenza profonda e vitale della stessa collettività, diventi un mattone per la costruzione del futuro della Basilicata.
Se il problema del completamento del tratto ferroviario Ferrandina-Matera fosse politico non ci sarebbero voluti 120 anni. Farò un esempio che ho vissuto personalmente e poi darò dettagli che conosco da tempo sul perché i lavori sono stati sospesi.
Prima dell’istituzione del Parco Nazionale del Pollino (anni 70) molti erano gli amministratori locali, in specie del versante calabrese che vedevano nella costruzione di un villaggio turistico d’alta quota (Campo Tenese e piste da sci tra i pini loricati) sponsorizzato da una fatidica ditta edile napoletana denominata “La Gioconda” (c’era addirittura la Camorra dietro). Chiaramente congiuntamente al villaggio andava migliorato l’accesso stradale con costruzioni di superstrade con alberghi e relative strutture turistiche… Venne spontaneo da parte di un’equipe di geologi di pronunciare la frase “simili amministratori non li vorrebbero neanche gli zulu d’Africa”. In tutti i casi gli amministratori calabro-lucani poco preparati (diciamo pure ignoranti) non erano affatto consci o non volevano accettare il fatto incontestabile che le rocce del massiccio del Pollino erano di natura friabile e le imponenti costruzioni previste dai mega-progetti turisti avrebbero distrutto irrimediabilmente i luoghi. La montagna infine si sarebbe difesa da sola.
Conosco personalmente il responsabile dell’impresa che diede luogo ai lavori e che è stato addirittura compagno di classe al liceo di Antonio Ribba. Antonio… forse non mi avrai riconosciuto ma sono “Meo” anche se non mi faccio chiamare così da quando non vivo più in Italia (ci torno volentieri a casa mia in Timmari di quando in quando). Il responsabile il cui nome è Claudio Saponaro, e di cui ero amico, durante a una festa mi confidò che temeva per la seconda scavatrice (anche chiamata talpa). La prima era stata sepolta dalle argille crollate dalla volta. La compagnia assicuratrice non aveva completamente coperto i costi dell’acquisto di una nuova talpa (gli scavi procedevano su entrambi i lati della collina di Miglionico) e il pericolo di non rientrare nei costi dell’impresa era dietro l’angolo. La seconda talpa rimase sepolta e i lavori furono sospesi. Il problema tecnico da superare era enorme. Le argille plioceniche si sono formate con il deposito di particelle sospese sul fondo del mare pliocenico (diversi milioni d’anni fa) che oggigiorno chiamiamo Fossa Bradanica e queste coltri si sono inspessite fino a 3000-4000 metri di profondità. Capirete che più in profondità andiamo e maggiore sarà la pressione a cui le argille sono sottoposte. I pilastri di un palazzo sono più spessi nei piani inferiori e più sottili in quelli superiori in quanto il peso da sostenere è progressivamente più leggero verso l’alto.
La galleria delle “antiche” Ferrovie Calabro-Lucane fu costruita a livelli più elevati e la pressione delle argille era minore e il fenomeno dell’espansione (rigonfiamento e successivo crollo delle pareti delle gallerie scavate) era più contenuto. Il problema era che la tratta sul versante del Basento aveva problemi tecnici addirittura divertenti. Un esempio alquanto comico su tutti: un’invasione di lumache sulle rotaie aveva reso viscido il tracciato e il treno slittava e i passeggeri per superare l’ostacolo dovettero scendere e spingere il treno.
La nuova galleria delle FF.SS. era stata progettata per sboccare a livello del fondovalle del fiume Basento ma il problema era quindi la stabilità delle gallerie. Purtroppo la pressione delle argille azzurre era superiore e di molto a quella fino ad allora registrata dalla comunità scientifica e il crollo in molti punti della galleria quasi ultimata ne determinò l’abbandono.
Morale della favola: prima di lanciarsi in futili polemiche e/o annunci trionfalistici sarebbe opportuno chiedere a degli esperti in gestione territoriale un apposito studio che ne valuti i limiti e indichi delle proposte risolutive.
Altro esempio recentissimo.
Sotto casa mia (la Rifeccia sotto Timmari) è ancora in costruzione l’ultimo tratto della Bradanica e purtroppo un viadotto appena costruito chiamato per l’appunto Ponte Rifeccia risulta instabile e sarà soggetto a “riparazioni” quando saranno stanziati nuovi fondi.
Collegare Matera al resto d’Italia tramite le montagne e colline instabili della Lucania sarà sempre un compito difficoltoso. Peccato che non ci si è mai resi conto che sarebbe stato più semplice volersi collegare con le linee pugliesi (Altamura, Gioia del Colle…) e che esista una linea dalla FerroSud che in località Iesce mette in relazione questa fabbrica con la linea Altamura-Santeramo in Colle (sapevate che quest’ultima era un antico casale di Matera quando Matera era ancora pugliese?)
Caro Meo, ci hai dato spiegazioni tecniche molto interessanti. Non ho capito tutto ma la sostanza sì: la partita è molto difficile, al di là dei finanziamenti. Però il discorso del collegamento verso Bari, di qui al 22esimo secolo, non potrà che essere complementare più che alternativo.
Ciao e molto contento che tu intervenga con le tue competenze.
Caro Antonio,
diversi mesi fa sono intervenuto in un altra discussione del vostro blog nel quale ho avuto un vivace scambio di idee con un vostro lettore il cui nome è Pasquale Stano. Il soggetto del dibattito era lo scippo da parte di Potenza della trasmissione del Capodanno Rai. Ribadisco il mio punto di vista: Matera ha poco a che vedere con la Basilicata ed è naturalmente, per svariate ragioni storico-culturali una cittadina pugliese. L’errore concettuale è cercare a tutti i costi di voler essere centrali in una regione in cui si è corpo estraneo. Le storiche vie di comunicazione della “Lucania Antica” hanno sempre seguito le valli fluviali e il dialetto materano, le chiese rupestri, l’architettura e sviluppo urbano della città, la formazione geologica e chi più ne ha più ne metta, sono elementi tipici della regione Puglia non di certo della Basilicata a cui è stata unita nel 1663 dal governo del vice-regno spagnolo. Per inciso il capoluogo della Basilicata era stato Salerno, antica capitale del principato longobardo omonimo e dal quale il Thema di Lucania (futura Basilicata) sarà conquistata dai Bizantini nel X secolo.
Le difficoltà tecniche al quale continuamente si assiste per mettere in collegamento Matera con il resto della Basilicata non sembra insegnare niente alla classe politica materana, digiuna della loro stessa storia.
Così come sono a digiuno della conoscenza della storia della loro regione lo sono per quel che concerne l’aspetto fisico-naturale e questo ne influenza le scelte economiche per lo sviluppo della stessa.
Ti racconto un’altro episodio in cui Timmari ne è stata l’oggetto della contesa.
Mesi fa alcune persone (ometto i nomi per evitare pubblicità negativa degli stessi) hanno tentato di rivitalizzare il circolo “Verde Colle Timmari” con l’intento di formare una comunità che unita richiedesse dei fondi europei per dei progetti filiera. Il progetto che ci hanno presentato erano una serie di stronzate senza senso e contraddittorie che palesavano (perlomeno ai miei occhi) l’unico obbiettivo di strappare questi fondi europei per non so quale loro proposito occulto. La collina di Timmari è stata sede di un centro abitato scomparso (al pari di Alto-Janni, Irsi, Monte Serico … lungo la valle del Bradano) che risale in base agli scavi archeologici ad almeno il 12° secolo a.C.
Non solo! In base ad alcune ricognizioni da me effettuate, ci sarebbe un castello sepolto (non dirò dove…). I conti Gattini (Gatinois visto che il titolo lo hanno ricevuto in lingua francese del X secolo) avevano infatti il loro feudo nelle contrade di Picciano, Palomba e Castello di Timmari (all’epoca Timaris). Oltre ai resti dell’epoca magno-greca, presente nei pressi della chiesetta di San Salvatore, i boschi, artificiali e no, ne fanno un luogo bellissimo per l’escursionismo e scoperte paesaggistico ambientali nonché archeologiche. In più c’è una comunità residente di cui faccio parte (anche se in forma intermittente) che ci vive.
Il progetto bidone non prendeva in alcuna considerazione tutte queste caratteristiche ma era come in tanti altri casi un tentativo legalizzato di rapina all’ambiente, la comunità locale e le istituzioni regionali e europee.
Te lo ripeto Antonio, se esistesse una classe politica e intellettuale materana meno ignorante e auto-referenziale le cose non sarebbero messe così male a cominciare dalle gallerie che cedono e i viadotti che slittano a valle.
Si dice che dovremmo trarre insegnamento dalle lezioni del passato ma a quel che sembra siamo degli alunni alquanto scarsi